All’epoca del quartetto con Crosby, Stills e Young, Nash era definito dai compagni come «il collante», ovvero colui che teneva insieme quella impareggiabile esperienza artistica quanto fragile dal punto di vista umano. Ora, alla vigilia di un ritorno solista a 14 anni dal precedente lavoro – esce il 15 aprile This Path Tonight, una raccolta di dieci canzoni prodotte da Shane Fontayne – Graham Nash, è un distinto signore dalla chioma bianca, fisico asciutto, che non dimostra affatto le sue 74 primavere.

«Perché ho deciso di tornare a incidere un disco? – spiega Nash nel teatro studio dell’Auditorium dove oltre all’ascolto di alcune tracce dell’album ha parlato del tour che farà tappa a giugno anche in Italia: il 2 a Lucca, il 3 a Como, il 4 a Roma, il 6 a Trento e il 7 a Napoli – «molto semplicemente perché mi sono innamorato».. Armonizzazioni vocali e qualche timida concessione all’elettronica caratterizzano i pezzi: «Io e Shane abbiamo scritto in un mese 20 brani, dieci li abbiamo incisi in otto giorni. Sono state pensate come un viaggio metaforico, di scoperta personale, con tanta passione. Amo anche quelli rimasti fuori, ma non si legavano con il discorso dei testi, li ritroverete in un prossimo disco. E non farò passare altri 14 anni…». C’è più di un filo che lega This Path Tonight al suo primo lavoro solista Songs For Beginners (1971): «Graham – spiega Fontayne – ha voluto rifarsi a quelle atmosfere, abbiamo rintracciato una vocalist di quelle session e l’abbiamo riportata in sala con noi per creare una sorta di continuum con quella prova».

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La carriera solista di Nash è stata spesso interrotta dalle riunioni con la «superband» o per soccorrere David Crosby, durante le sue ripetute ricadute nella tossicodipendenza. Ora a una domanda su un possibile ritorno in trio, risponde sicuro «no»: «L’ho aiutato sempre quando era in difficoltà. Ma negli ultimi tempi si è comportato molto male con me, davvero molto male. Gli ho salvato il culo per 45 anni e ora mi tratta come una merda…».

Nash, inglese di Blackpool, vive ormai da cinquant’anni in America e le sue prese di posizioni politiche e ambientaliste (è stato fra i promotori del progetto antinucleare No Nukes sul finire dei ’70) sono sempre state nette. È molto preoccupato dall’ascesa di Donald Trump: «Credo che la scena politica americana non sia mai stata così folle come in questo momento. Ci sono sicuramente persone assennate e coraggiose, ma alcuni sono poco brillanti. Donald Trump è estremamente furbo, ha individuato la paura nelle persone e l’ha amplificata. E come fanno la maggior parte dei fascisti, lui ha fornito un nemico contro il quale combattere. Ha idee estremamente pericolose. Tipo costruire un muro lungo tremila miglia, definire tutti i messicani come ’violentatori’, impedire ai musulmani di entrare negli Stati uniti ed espellere undici milioni di lavoratori senza documenti. Spero non diventi presidente, ma la cosa più stupida sarebbe considerarlo un folle. Noi abbiamo l’esempio di due mandati ciascuno a Ronald Reagan e George Bush…». In momenti bui gli artisti cercano di mobilitarsi: «Ma ora non è più possibile, perché i proprietari dei media non passano canzoni di protesta né in radio né in tv. Preferiscono non sconvolgere l’equilibrio e non alterare lo status quo. I romani parlavano di panem et circenses per blandire il popolo, lo stesso sta accadendo negli Usa. Dategli da mangiare e distraeteli con le dimensioni del sedere di Kim Kardashian».

Forse Obama ha un po’ deluso le aspettative: «Non credo, è un uomo di gran cervello e cuore, ma dal primo giorno i repubblicani gli hanno messo i bastoni fra le ruote. Non è stato facile governare. Io sostengo Bernie Sanders, è uno di noi, sta riportando i giovani alla politica e ha capito il disastro provocato dai trattati di commercio che hanno delocalizzato il lavoro dove veniva pagato meno. Bill e Hillary Clinton hanno guadagnato con le loro conferenze 150 milioni di dollari, e pensate che la gente dà tutti quei soldi per nulla? La voterò se Sanders non riuscirà a passare, perché l’alternativa Trump sarebbe terrificante».

C’è tempo per raccontare di Woodstock e degli incontri con la West Coast. «Sono valori a cui credo, io non sono diverso da allora, mi sento ancora l’hippie che sosteneva la pace contro la guerra e l’amore contro ogni rigurgito di odio. Sono scelte che difendo ancora oggi».