Graham Harman, professore di filosofia al Southern California Institute of Architecture di Los Angeles, ha sviluppato un’innovativa visione filosofica a cui, nel 1999, ha dato il nome di «filosofia orientata agli oggetti», espressione modificata una decina di anni dopo in «ontologia orientata agli oggetti» (OOO), secondo cui tutti gli oggetti, indipendentemente dalla loro natura, sono reali, discreti e mai pienamente comprensibili. In tal modo la OOO si smarca dall’antropocentrismo tanto caro alla nostra tradizione filosofica: la realtà, per esistere, non ha bisogno della correlazione tra pensiero umano e mondo delle cose. Grazie al prezioso lavoro di Francesco D’Isa e Olimpia Ellero, Carbonio Editore ha recentemente reso disponibile in italiano Ontologia orientata agli oggetti. Una nuova teoria del tutto, un saggio del 2018 in cui Harman propone un’agile e godibilissima cartografia della sua innovativa proposta teorica.

Quali sono le principali caratteristiche?
La filosofia occidentale moderna – e, in particolare, quella che inizia con Kant intorno al 1780 – si fonda su ciò che chiamo «onto-tassonomia», che a sua volta si basa sull’assunto secondo cui nell’universo esisterebbero solo due tipi di cose: il pensiero umano e tutto il resto. Messa così suona come un’assurdità, ma i filosofi moderni non sono stupidi. Il pensiero umano occupa il 50% della filosofia perché ciò che si dà in esso sembra immediato ed evidente al contrario di tutto ciò che non vi si dà. Di conseguenza, la filosofia moderna è ossessionata dalla relazione tra il pensiero e qualsiasi altra cosa. La OOO è controversa perché sostiene che la relazione causale tra due oggetti inanimati traduce e distorce la realtà tanto quanto il pensiero umano. Questo è un aspetto. L’altro, quello che ha destato minor dibattito, è il completo rifiuto della teoria di Hume secondo cui gli oggetti non sarebbero nient’altro che insiemi di qualità. La combinazione di questi due principi ha permesso alla OOO di intraprendere nuovi percorsi che chi ci leggerà potrà apprezzare.

Quali sono state le motivazioni che l’hanno spinta a intraprendere questi nuovi percorsi?
Tutto è cominciato quando ero studente e cercavo di cogliere il senso dell’analisi dell’utilizzabilità che Heidegger presenta in Essere e tempo. Quel brano mi ha sempre affascinato e, pur avendo affascinato molti altri lettori, nessuna delle interpretazioni tradizionali mi pareva soddisfacente. Se il senso fosse stato semplicemente quello di affermare che tutta la teoria si fonda su un background di pratiche inconsce, non c’era bisogno di Heidegger. Il punto di svolta è stato quando ho compreso che «utilizzare» uno strumento è un modo per entrare in contatto con la sua realtà, tanto imperfetta quanto quello che si dà nel percepirlo o nel teorizzarlo. La differenza cruciale è molto più profonda: la differenza tra un oggetto in sé e qualsiasi relazione in cui può trovarsi. Questa intuizione risale al 1991 o al 1992 ed è stata al centro della la mia tesi di dottorato che poi è diventata il mio primo libro, Tool-Being, pubblicato nel 2002. Da allora ho continuato la mia ricerca, interrogando autori più classici e ho compreso che, per molti aspetti, l’ontologia orientata agli oggetti è la continuazione della filosofia della sostanza di Aristotele.

Per riprendere il sottotitolo del suo libro: «una nuova teoria del tutto»?
Uno dei pochi eventi appassionanti che ho vissuto ai tempi in cui frequentavo la scuola superiore è stata la lettura di un lungo articolo sulla messa a punto della teoria «elettrodebole» unificata. Per molti mesi ho sognato di diventare un fisico. A parte che le scienze naturali non erano il mio forte, molto presto ho però cominciato a interrogarmi su tutte quelle cose che non rientrano in una teoria fisica. Una teoria fisica unificata può dirci di che cosa sono fatte le cose, ma questo ci dice poco su che cosa esse siano. E una teoria fisica non ha nulla di significativo da dire su entità sociali, politiche, estetiche. Volevo mettere assieme tutti questi aspetti e questo è stato il modo in cui alla fine ho trovato la mia strada in filosofia. L’universalità è un’aspirazione, non la meta ultima. Tale aspirazione però è assolutamente fondamentale in filosofia.

Se la OOO è un oggetto che spiega tutti gli altri, va allora pensata come un meta-oggetto?
Non credo nei meta-oggetti. Whitehead aveva ragione quando affermava che il cosmo è talmente vasto e misterioso che i nostri sforzi per comprenderlo ne scalfiscono solo la superficie. Le mie affermazioni sulla OOO sono qualcosa di molto più modesto di un meta-discorso. La filosofia differisce da altre discipline intellettuali perché il suo interesse non è limitato a un argomento specifico. La filosofia non si interessa esclusivamente di fatti fisici, psicologici, chimici o culinari, ma ricerca come tutti questi fatti possano combinarsi tra loro. Ciò non significa che la filosofia si ponga al di fuori del mondo degli oggetti per poterli osservare in maniera trasparente.

E che ne è della verità?
Ho sostituito il concetto di verità con quello di realtà, che intendo nei termini di un contatto significativo con qualcosa, indipendentemente dal fatto che si abbia o meno un’idea precisa su come tradurlo in parole. Ciò che trovo sbagliato nella teoria dell’evento di Badiou è che quando si fa esperienza di un «evento», generalmente il suo significato non è per nulla chiaro. Sappiamo che qualcosa è accaduto e che ha segnato una rottura profonda rispetto all’esistenza precedente, ma la verità di un evento potrebbe richiedere anni per essere formulata.

Anche Derrida e Foucault hanno decostruito la nozione di verità. Perché li annovera tra i maggiori «rivali» della OOO?
Derrida e Foucault rifiutano il concetto secondo cui esistono oggetti discreti che mantengono un loro nucleo invariante nei diversi contesti in cui possono venire a trovarsi. Basta guardare al modo in cui Derrida legge Heidegger: è come se l’Essere sia qualcosa che esiste esclusivamente nelle sue differenti manifestazioni, come se non esistesse un’eccedenza che va oltre tali manifestazioni. Per la OOO, ogni oggetto è un’eccedenza reale e identica a se stessa, pur rimanendo costantemente modificabile. Circa Foucault, invece, per quanto fosse un pensatore brillante, è proverbiale la sua completa mancanza di interesse per il mondo non-umano.

In effetti, lei afferma che gli umani non sono oggetti più importanti degli altri. Questa dislocazione dell’umano ha a che fare con il fatto che è vegetariano?
Sono diventato vegetariano intorno ai 7-8 anni, quando venni a sapere da dove proveniva la carne che mangiavo e ne fui semplicemente inorridito. A metà degli anni ’70, essere vegetariani era alquanto raro, soprattutto in una regione rurale come lo Iowa. La filosofia è entrata in gioco molto più tardi. Penso, tuttavia, che la filosofia moderna abbia tracciato una linea troppo spessa tra gli umani e tutto il resto. Si possono instaurare relazioni di vicinanza con gli animali e forse questo può far sì che si cambi idea circa cosa dovrebbe essere considerato cibo e cosa no.

Come interpreta l’«oggetto» più attuale di questi tempi, ossia la pandemia da coronavirus?
Se c’è qualcosa di buono in questa pandemia è ricordarci che la sfera della politica è composta sia da non-umani che da umani. Penso che l’errore condiviso a destra e a sinistra sia l’enfasi esclusiva posta sulla natura umana. Gli umani sono esseri pericolosi e malvagi che necessitano di rigide norme di controllo o, invece, sono esseri indefinitamente migliorabili ma corrotti dalla società? La moderna teoria politica è pervasa da questa domanda.

L’estetica è un aspetto centrale della OOO. Vuole dirci qualcosa in proposito?
L’ontologia orientata agli oggetti sostiene che «l’estetica è la filosofia prima». Questo perché interpreta i fenomeni estetici nei termini di una scissione oggetto/qualità. Senza tale scissione non c’è nulla di estetico, ma solo ciò che chiamo «letteralismo». E il letteralismo è la morte di qualsiasi cosa: nel linguaggio, nell’amore, nella politica, nella società, nelle arti e, certamente, nella metafisica. Per questo sono così infastidito quando i filosofi scrivono male.