Quasi tutti i movimenti artistici vengono catalogati in retrospettiva con prefissi che ne definiscono meglio i contorni tematici e spazio-temporali. Si individua un «proto» e si arriva all’inevitabile «post». La musica punk non fa eccezione. Se pensiamo al proto-punk non sbagliamo se citiamo nomi come MC5 o Stooges. E se parliamo di post-punk possiamo indicare una data, 1978, e un nome senza paura di essere smentiti: i Gang Of Four. Rimarranno la band più influente che il grande pubblico (al di fuori forse dell’Inghilterra) non ha mai sentito nominare. Il leader e fondatore, Andy Gill, è scomparso lo scorso 1° febbraio a 64 anni per una polmonite. La carriera musicale per Gill e la sua «banda dei quattro» iniziò a Leeds. Andy, che era originario di Manchester, e l’amico Jon King nel 1976 erano tornati da un viaggio a New York con un’idea fissa: fondare una band. Con nelle orecchie il punk londinese e contagiati dall’incredibile energia della Grande Mela anni Settanta, produssero il singolo d’esordio Damaged Goods che diventò il brano per cui non saranno mai dimenticati. Un incipit con un basso sincopato che introduceva una chitarra funk suonata con precisione e furore da Andy, un brano energico, contagioso e sì… anche ballabile. «Capivi che il punk era passato di lì – spiegherà Gill – ma non era più punk». Era l’ottobre del 1978, la fiammata dei Sex Pistols aveva scatenato una rivoluzione che aveva aperto nuovi scenari: si affacciavano nuovi generi e nuovi protagonisti. Era sbocciato qualcosa di inedito, una «new wave», una nuova ondata.
Il punk aveva già partorito una sua seconda fase o una sua nemesi, il post-punk. «Fu tutto molto, molto rapido – racconterà ancora Gill -. Il ’76 fu l’anno del punk, ma la gente cambiava opinione improvvisamente. Le porte erano state spalancate. Tutti dicevano “Oh, ok! Allora tutto è possibile”. Questo incoraggiò a esplorare percorsi completamente differenti». I Gang Of Four sigilleranno questa nuova era con il loro album Entertainment!, pubblicato nel settembre 1979 e diventato una pietra miliare della scena alternativa per i successivi vent’anni. Nella sua semplicità strutturale il disco scompaginava le regole. Un suono minimale ed eclettico che confondeva punk, rock, funk e reggae, offrendo testi di denuncia sociale. La chitarra di Gill con i suoi riff graffianti e i suoi staccati esplosivi garantiva un suono feroce, frenetico e al contempo irresistibile. Le due voci di Gill e King, che spesso sembravano dialogare, davano particolare efficacia al messaggio, visto come un tutt’uno con la musica.
GERMOGLI
Nella musica inglese era successo qualcosa che in pochi avevano previsto. Il terremoto del punk non aveva lasciato le macerie, ma aveva sparso semi e idee che improvvisamente germogliavano. Contemporaneamente al primo singolo dei Gang Of Four l’era del post-punk iniziava ufficialmente anche grazie alla pubblicazione di Public Image dei Public Image Ltd., la nuova band di Johnny Rotten dei Sex Pistols, ora riappropriatosi del suo vero nome, John Lydon. I benpensanti avevano festeggiato la fine della «grande truffa del rock’n’roll» ritenendola la giusta morte di una scomoda moda passeggera che si era esaurita. Invece lo stesso Lydon si ripresentava sulle scene non da sconfitto. L’icona del punk-rock stava consapevolmente tentando di ridefinire la direzione di un movimento di cui era stato profeta. L’assalto sonoro brutale era sublimato in nuove forme. I PIL rimanevano abrasivi, ma riprendevano la lezione del krautrock dei Can, di Captain Beefheart, guardavano al reggae, al dub, alla musica etnica. Il post-punk non era solo un «dopo» ma era un’estensione, un’apertura di orizzonti.
Questo fu condizionato e agevolato da un pubblico che era sempre più a caccia di qualcosa di innovativo e fresco, da un sincero desiderio dei nuovi artisti di stupire e da un’esplosione di piccole e agguerrite etichette indipendenti nutrite da un mercato esteso come pubblico, ma ristretto geograficamente come quello dell’Inghilterra. Manchester era una città pronta a fare il salto da polo industriale a capitale musicale. Qui Ian Curtis e i suoi Joy Division nel giugno 1978 debuttavano con l’ep An Ideal for Living. Un lavoro acerbo in cui il punk sembrava essere solo il sottofondo di un’idea che aggregava sempre di più i ritmi delle avanguardie musicali tedesche e una tendenza a un’atmosfera cupa.
Poco meno di un anno dopo queste premesse saranno consolidate nel capolavoro Unknown Pleasures in cui il punk era, più che archiviato, trasfigurato in un nuovo genere. Rimaneva una certa radicalità, ma l’esibizionismo oltraggioso era diventato introspezione (e forse anche depressione) e in questa mutazione era stato anche riassorbito un vecchio nemico di Sex Pistols e sodali: il prog/art rock. Le nubi nere dell’era di Margaret Thatcher si addensavano su un paese che stava vivendo una profonda crisi sociale. La comunità musicale divenne la vera opposizione. Il fermento artistico era una risposta al declino e la musica inglese visse una delle sue stagioni più memorabili e intense. Il quartetto londinese Wire debuttava nel 1977 con Pink Flag: pezzi brevissimi e incisivi, una tecnica compiuta e una grande capacità di giocare con ritmi e stili. Arrivò così l’anno dopo Chairs Missing, una piccola rivoluzione: venne introdotto il sintetizzatore, i suoni si facevano meno taglienti e più accessibili, compariva il pop pur rimanendo una scintilla di imprevedibilità. L’ellepì degli Wire sarà l’anello di congiunzione tra il punk delle origini e la scena indie rock del decennio successivo. Con l’album Y del 1979 The Pop Group di Bristol spingevano l’acceleratore sulle sperimentazioni dando libero sfogo a un collage di ritmi in levare, funk, free jazz e dissonanze assortite. Si era giunti nel campo della vera avanguardia con un progetto artistico che integrava anche esibizioni live di impostazione teatrale e un messaggio politico anti-capitalistico e di rivoluzione.
MOVIMENTO FEMMINILE
Ma il post-punk divenne anche un movimento al femminile: Siouxsie Sioux e i suoi Banshees con The Scream crearono le premesse del sottogenere noto come «dark». Il quartetto delle Slits sopravvisse al disgraziato tentativo di Malcolm McLaren di trasformarle nella versione in gonnella dei Sex Pistols e si presentarono con Cut, che integrava dub, punk, irriverenza, femminismo e pop. Nel loro solco le Raincoats produssero un debutto omonimo che Kurt Cobain (grande fan anche dei Gang Of Four) citerà tra i suoi album preferiti. Intanto i Police pubblicavano Outlandos d’Amour e Reggatta de Blanc, anche qui il reggae incontrava il punk ma l’obiettivo era il grande pubblico, i Jam lanciavano il revival mod, i Clash sigillavano un decennio e ne inaugurarono un altro con l’inestimabile London Calling e cancellavano le barriere culturali con il monumentale Sandinista!. Nascevano band come Echo & The Bunnymen, Killing Joke, Ultravox, Simple Minds, Depeche Mode e Cure. Il furore creativo di quella stagione divenne parte del dna del rock.
A un braccio di mare di distanza gli U2 con Boy davano una loro versione del post-punk. Dall’altra parte dell’Oceano l’hardcore recepiva le istanze più estremiste del movimento, mentre i Rem ridefinivano i canoni dell’indie rock ispirandosi agli Wire. A Los Angeles i Red Hot Chili Peppers nascevano con l’idea di creare un album come Entertainment!, destinandolo alla comunità skate-punk californiana e reclutavano proprio Andy Gill come produttore. La sua scomparsa ci ha ricordato un’epoca in cui tutto è stato possibile, forse perché tutto sembrava difficile. Di un tempo in cui fare musica voleva dire sconfiggere l’oppressione, emanciparsi dal conformismo e tentare di essere diversi e innovativi. A ogni costo.