O. T. era un ragazzo di 28 anni. Incensurato. Sano. Senza problemi di tossicodipendenza. Venerdì 10 luglio ha rubato una bici, a Bolzano. Una bravata, forse causata da un bicchiere di troppo. Fermato, avrebbe sputato sugli agenti. Per questo il giudice ne ha dichiarato la pericolosità sociale e disposto il trasferimento nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) più vicino, quello di Gradisca d’Isonzo. O. T. era nato in Albania e non aveva il permesso di soggiorno. In tribunale si sarebbe messo a piangere, forse spaventato dall’idea di finire dietro le sbarre. Sabato è entrato nella struttura detentiva, lunedì mattina è stato ritrovato morto nella cella dove avrebbe dovuto trascorrere la quarantena. I dettagli raccolti dalla campagna LasciateCIEntrare iniziano a dare forma alla storia del secondo morto nel Cpr di Gradisca in meno di sette mesi. Ieri, intanto, la Garante comunale delle persone private della libertà personale ha visitato per la prima volta il centro. La figura di garanzia è stata istituita a dicembre scorso e a marzo ha visto l’elezione di Giovanna Corbatto, classe 1981, esperienza nella Caritas e riconoscimento Unhcr per l’impegno nei corridoi umanitari.

Com’è la situazione nel Cpr?

Difficile rispondere senza generare fraintendimenti. All’interno la situazione può cambiare da un momento all’altro. Basta poco per innescare malumori o proteste. Le persone che ho potuto incontrare stavano tutto sommato bene. Bene compatibilmente con l’ambiente in cui sono inserite. Non ho potuto parlare con tutti. La mia è una valutazione relativa a una visita di due ore in cui ho soprattutto avuto modo di farmi un’idea generale. È la prima volta che entravo nella struttura. La situazione mi è parsa tranquilla, ma ciò non significa che vada tutto bene. Ci sono sicuramente delle criticità.

Giovanna Corbatto, garante comunale dei detenuti a Gradisca

Quali?

Andrebbero attenzionati inizio e fine del percorso nel Cpr. Su questo si può lavorare. Poi ci sono altri elementi di difficoltà su cui né la prefettura né la cooperativa Edeco [ente gestore, ndr] hanno colpa. Ci sarebbe bisogno di un apporto di personale superiore, a partire da quello sanitario. Avere un medico solo per cinque ore è troppo poco. Ne sono tutti consapevoli, ma i capitolati usciti lo scorso anno con Salvini al governo lasciano poco spazio a un incremento del personale impiegato.

Alcune testimonianze emerse nei giorni scorsi denunciano una somministrazione massiccia di sedativi e tranquillanti ai reclusi. Ha potuto raccogliere elementi su questo?

Sì, ma siccome è elemento di indagine relativamente alla morte del ragazzo non posso dire molto. Posso riferire quello che ho chiesto: come funziona l’assunzione e la somministrazione dei farmaci, se di persona o no; da dove vengono; chi li prescrive; chi li somministra.

Esiste un protocollo?

Posso dire solo che i farmaci somministrati vengono registrati.

Ci risulta che con il lockdown gli ingressi del personale di Centro di salute mentale (Csm) e Sert siano stati interrotti, ma la somministrazione di sedativi e tranquillanti sia continuata. Può confermarlo?

Il personale non entra, ma è stata allestita una sala privata in cui gli ospiti continuano ad avere colloqui via Skype con psicologici e psichiatri di Csm e Sert.

Il Cpr ha riaperto a dicembre scorso. Da allora si contano rivolte, violenze, diversi casi di Covid-19 e due morti. Una struttura simile può avere un futuro compatibile con lo stato di diritto?

Non si può pensare di avere una struttura dove non accade niente, dove tutti sono sereni. Le dinamiche che nascono all’interno del Cpr sono malate. È un’istituzione totale in cui ci sono persone rinchiuse, per una detenzione amministrativa. Così come è configurato il Cpr è un controsenso. Vanno cambiate le regole di base.