«La semplicità è sempre la cosa migliore», cita Gilda e si diverte a snocciolare le battute di Bette Davis in Eva contro Eva. Grace Jones – icona di moda, disco diva, attrice e molto altro ancora da quattro decenni – getta la maschera nei centoventi minuti del bel documentario di Sophie Fiennes (Hoover Street Revival, 2001 e diversi progetti tv). Ma il palcoscenico e le sue esibizioni catartiche, mise succinte e fisico mozzafiato alle soglie dei settanta, sono solo una parte del film, lì dove la diva mette in scena «il musical della mia vita».

Le storie di Hurricane, Slave to the rhytm, Pull Up to The Bumper – alcune delle sue canzoni di successo – rivelano testi molto personali, il suo vissuto e una traumatica infanzia. Brani che accompagnano il racconto in un viaggio che Grace intraprende nella sua Giamaica accompagnata dal figlio Paulo e la nipote Chantal (qui il significato del titolo Bloodlight è la luce rossa che si illumina quanto l’artista sta registrando in sala, bami è la focaccia tipica giamaicana), dove incontra la madre, i fratelli Chris e Noel, cresciuti per diversi anni dal nonno putativo Mas P., uomo violento e autoritario.

Un film giocato sui contrasti – la quiete sensualità dell’isola e i frenetici beat di un club newyorchese, e si chiude con l’incontro sul set di un servizio fotografico con l’ex marito, il fotografo francese Jean Paul Gaude, che ha creato le copertine dei suoi album più famosi.