«Sarà il ruolo più importante della tua carriera». Così dice il padre confessore (Frank Langella) alla bionda ragazza di Philadelphia finita sperduta e incompresa in un minuscolo paese europeo dove nessuno paga le tasse. Dentro a quella frase, pronunciata con solennità da Frank Langella, è il senso di Grace di Monaco, il film d’apertura di Cannes 2014 e, in fatto di selezione, una delle scelte più deprimenti degli ultimi anni. Nemmeno la garanzia della polvere di stelle offerta da Nicole Kidman (Grace di Monaco), Tim Roth (Ranieri), Paz Vega (Maria Callas!), Langella…sul tappeto rosso della prima serata giustifica dare il via al maggior festival del mondo con un film come quello di Olivier Dahan che, nel 2007, aveva già insultato la memoria di Edith Piaf con La vie en rose. Le aperture sono intese per un’audience più vasta, cerimoniale, di quella che frequenta normalmente i festival, quindi spesso si opta per oggetti «concilianti». Che siano anonimi o brutti succede…Ma se Grace era inteso come una concessione al grand publique, quello stesso pubblico avrebbe ragione di arrabbiarsi.

Offesi dal ritratto goffamente agiografico della famosa principessa, gli eredi dei Grimaldi (che qualche giorno fa hanno rilasciato un comunicato stampa con cui prendevano le distanze dal film) potranno almeno godersi le recensioni devastanti che hanno cominciato a fioccare in rete circa un’ora dopo la proiezione stampa di ieri mattina, accolta da un silenzio lungo e polare, seguito da qualche fischio triste.

Il produttore/distributore americano Harvey Weinstein, che un paio di settimane fa aveva annunciato di aver scaricato Grace dai suoi listini, pare che alla fine (per non offendere Nicole Kidman e l’agenzia CAA) abbia deciso di riprenderselo, anche se a un prezzo stracciato rispetto a quello pattuito inizialmente. Ma il sito di gossip informato Deadline Hollywood, ieri mattina, dava Weinstein, con la moglie, in visita ai campi di profughi siriani e non a Cannes per l’opening night.

Per chi non si ricordasse che Grace di Monaco è morta (nel 1982) in un incidente stradale sulle Corniche nei pressi di Montecarlo, il film apre con il camera car da un’auto che si inerpica su una stradina a picco sul mediterraneo. Cut e si torna indietro di parecchi anni: Grace è sul set del suo ultimo film (Alta società, con Bing Crosby, del 1956), ma ufficialmente in partenza per il viaggio che farà della figlia di un muratore della Pennsylvania diventato milionario una raffinata principessa d’Europa. Un fairytale, una fiaba, recitano all’unisono i giornali e i cinegiornali d’epoca.

Ma i primi passi verso la Grace regale, beatifica, e un po’ giunonica, che passerà alla Storia sono difficili. Entro il 1961 la fiaba, come il matrimonio dei Grimaldi, è in crisi. E Grace – tentata dalla terza brutta incarnazione cinematografica di Hitchcock nel giro di due anni – vuole tornare a Hollywood e interpretare Marnie. Glielo impediranno, alla fine, una confusa crisi internazionale (De Gaulle ha deciso di annettere il Principato, a meno che Aristotele Onassis e gli evasori come lui non inizino a pagare le tasse al suo governo), la scoperta di un complotto spionistico in famiglia, il fido sacerdote Langella e un maestro delle cerimonie (Derek Jacobi) che trasforma l’impetuosa ragazza americana che dice sempre quello che pensa, nella perfetta consorte di un principe e in una brillante mente diplomatica. Dopo tutto, capisce finalmente lei, anche questo è recitare. È solo un’altra parte – e si butta nel nuovo personaggio regale.

Così, dopo una notte in cui si riconcilia con Ranieri, dice di no a Hollywood, a Hitchcock e alla sua frigida Marnie. «Se perdi il trono non importa. Ce ne andiamo a vivere con i bambini in una fattoria di Montpellier», promette al marito (frase che ha fatto scoppiare a ridere tutta la sala). Ma poi indice un ballo della Croce rossa con cui evita che la Francia attacchi Monaco. Non butterai mica una bomba sulla principessa americana? dice sarcastico McNamara a De Gaulle? I love you, sussurra Ranieri a sua moglie, finalmente addomesticata.