Per parlare dei risultati del summit dei capi di stato nel nuovo formato a 27 paesi, ieri a Bruxelles, il sottosegretario con delega agli Affari europei Sandro Gozi parte dal tema dei migranti. Se ne capisce il motivo. È il core business della crisi europea, e più si approfondisce lo sguardo sul voto del Brexit più se ne vedono le potenziali conseguenze nel resto d’Europa. Gozi invece è tranquillizzato dalle conclusioni del vertice. «Abbiamo ottenuto la risposta concreta che l’Italia invocava da tempo e oggi ancora più urgente. Finalmente ci sarà un nuovo rapporto di partenariato strategico fra Europa e Africa attraverso il mandato all’Alto rappresentante Federica Mogherini di negoziare gli accordi con i paesi di origine dei migranti: investimenti specifici da parte dell’Unione sia per lo sviluppo che per il commerciale. Si sono decise maggiori sinergie anche sulla lotta contro i trafficanti di esseri umani. Compresi risultati misurabili sui rimpatri. A settembre la Commissione presenterà un piano di investimenti. Si lavorerà con lo stesso approccio anche nel Mediterraneo e nei Balcani occidentali. A questo si aggiunge che il Consiglio ha preso atto dell’accordo per l’attuazione di un corpo per le frontiere esterne e una guardia costiera europea.

Le Ong hanno dubbi sugli accordi con i paesi africani, temono che nei paesi di provenienza i diritti umani potrebbero non essere rispettati.

L’Unione non fa accordi che violano i diritti umani. E l’Alto rappresentante sarà vigile.

Quanto alle frontiere, il Brexit non rischia di rafforzare i nazionalismi e di spingere oltre il ritorno alle frontiere interne?

Anche se il Regno unito non faceva parte di Schengen presto gli inglesi si renderanno conto che uscire dall’Europa vuol dire avere meno strumenti sull’immigrazione. Sarà chiaro agli inglesi e a tutti. Che solo l’Unione ha la forza politica e le risorse finanziarie per risolvere il problema.

Ma ora assume la presidenza dell’Unione la Slovacchia, paese di rigurgiti nazionalisti. Questo farà fare passi indietro rispetto alle decisioni di ieri?

Direi di no. Nei primi contatti , al di là della differenti posizioni, si capisce che gli slovacchi sono consapevoli che il ruolo della presidenza è quello di mediazione e di onesto sensale. Ma giudicheremo dai fatti.

L’attentato di Istanbul è un pezzo di questo discorso: a che punto sono gli accordi con la Turchia?

La prima fase di attuazione dell’accordo Ue-Turchia, accordo complesso e delicato, è positiva. I flussi verso la Grecia sono drasticamente diminuiti. Ora si sta lavorando per attuarlo pienamente. Sarebbe contraddittorio dire che dobbiamo lavorare con i paesi di transito dei migranti e poi non trattare con il più grande paese di transito di milioni di siriani. Il drammatico attentato di Istanbul dimostra ancor più che il terrorismo è una minaccia transazionale che richiede cooperazione.

Quanto ai trattati europei, invece, è prevalsa la linea del ’non si tocca niente’.

L’Unione si è data un percorso chiaro: nell’immediato fornire risposte concrete al malessere de cittadini e alle questioni più acute all’origine della crisi europea. Una risposta è sull’immigrazione, un’altra sugli investimenti: dobbiamo andare oltre il piano Juncker, che è positivo e va utilizzato appieno. Ma dobbiamo fare di più: dare risposte ai giovani, aumentando le politiche contro la disoccupazione. E moltiplicare gli Erasmus, una storia di successo dell’Europa che riguarda tre milioni di giovani e invece dovrebbe riguardarne almeno trenta. E poi dobbiamo lavorare a una nuova politica della sicurezza. Istanbul dimostra quant’è urgente. Di questi aspetti si parlerà a metà settembre a Bratislava. Altro appuntamento fondamentale è il 25 marzo 2017 a Roma, nel sessantennale del Trattato. Avevamo chiesto una nuova fase dopo il referendum inglese e questa fase ora si apre tanto più dopo il brutto risultato. L’abbiamo sganciata dal Brexit per non essere ostaggio dell’astrusa procedura del recesso. Dobbiamo avere senso di urgenza, per le misure concrete, e della lungimiranza, con un nuovo patto politico per l’Europa.

A proposito di urgenza e lungimiranza. Sulle procedure di uscita del Regno unito è prevalsa una linea prudente?

Il processo di recesso può partire solo con la notifica del governo britannico. È necessario che avvenga rapidamente per ridurre i rischi di turbolenze di un’incertezza prolungata. Ma è stato scritto nero su bianco che se vorrà concludere qualsiasi accordo nel mercato unico, stavolta da paese terzo, il Regno unito dovrà accettare tutte le libertà. Non potranno scegliere loro il menù, o le libertà che piacciono, magari quelle dei capitali ma non quella delle persone.

L’Italia non ha avuto l’auspicato seggio al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ne ha avuto solo metà, concordando una staffetta con l’Olanda. Segno di scarsa autorevolezza del nostro paese?

Tutt’altro. Sappiamo come avvengono i negoziati. Al contrario penso che la soluzione trovata sia giusta: anziché proseguire nel muro contro muro fra due paesi in un momento di divisione, si è scelta la cooperazione. Un bel messaggio per l’Europa.