Il gasdotto Tap si farà. Cala dunque il sipario, salvo clamorosi nuovi scenari ad oggi poco concreti e immaginabili, su un progetto da sempre discusso e osteggiato dai cittadini dei territori pugliesi interessati, in particolare Melendugno in provincia di Lecce, dove il gasdotto proveniente dall’Azerbaijan approderà. Soprattutto, dopo la vicenda Ilva, termina con un altro nulla di fatto una delle più importanti promesse elettorali del Movimento 5 Stelle, che aveva annunciato lo stop all’opera in due settimane una volta al governo. Dopo aver preso il 50% a Taranto e provincia con annunci sulla chiusura delle fonti inquinanti e progetti europei per le bonifiche che avrebbero dato lavoro a trentamila persone, il M5S lascia il 65% degli elettori di Melendugno e oltre il 45% degli elettori salentini con un pugno di mosche in mano.

Del resto, sia nel caso Ilva che in quello del Tap, era pressoché scontato che le strade intraprese dai precedenti governi a maggioranza Pd, ricoperte per anni dai peggiori insulti anche da molti attuali parlamentari grillini, non potessero che portare alla conclusione alla quale il governo giallo-verde è arrivato negli ultimi due mesi.

L’annuncio ufficiale sulla realizzazione del Tap è stato dato ieri da Giuseppe Conte, dopo aver ricevuto il parere definitivo del ministero dell’Ambiente. Il premier ha ammesso di «non aver riscontrato elementi di illegittimità, dopo un rigoroso controllo delle procedure di realizzazione dell’opera. Interromperne la realizzazione comporterebbe costi insostenibili, pari a decine di miliardi». Ancora più chiaro il ministro dell’Ambiente Sergio Costa: «Nei punti contestati non sono emersi profili di illegittimità, in quanto la Commissione Via – unico soggetto titolato a pronunciarsi – ha ritenuto ottemperate le prescrizioni». Tutto ciò al di là del suo «pensiero personale» e del «convincimento politico se l’opera sia giusta o no», ha voluto aggiungere il ministro evidentemente in imbarazzo.

Entrambi gli esponenti del governo giallo-verde hanno ovviamente tenuto a precisare che il progetto, autorizzato e concluso nel 2014, aveva ottenuto l’ok dal Consiglio di Stato nel marzo 2017. «Ad oggi non è più possibile intervenire sulla realizzazione di questo progetto, pianificato dai governi precedenti con vincoli contrattuali in essere – ha detto il premier -. Gli accordi chiusi in passato ci conducono a una strada senza via di uscita». Meno chiara la promessa con la quale Conte ha assicurato «un’attenzione speciale alle comunità locali perché meritano tutto il sostegno da parte del governo».

Di tutt’altro umore Matteo Salvini, che ha ripetuto il suo mantra: «Avere l’energia che costerà meno a famiglie e imprese è fondamentale, quindi avanti coi lavori».

Il comitato No Tap, dopo aver indetto un presidio al cantiere dei lavori (che adesso potranno riprendere) per domani, ha subito invitato tutti i parlamentari M5S eletti in Puglia a «dimettersi immediatamente: per quanto riguarda i politicanti che hanno fatto campagna elettorale in zona Tap è arrivata l’ora di rassegnare le dimissioni». Tra quegli stessi parlamentari ma anche tra quelli eletti in altre regioni, monta il malumore e c’è chi starebbe meditando di chiamare in causa Beppe Grillo che appena una settimana fa, a Italia a 5 Stelle, aveva detto: «Vogliamo il gas che passa sotto quei cazzo di ulivi della Puglia o non lo vogliamo?».

Del resto in Puglia nessuno ha dimenticato la firma sul documento che il sindaco di Melendugno, Marco Potì, sottopose ai futuri eletti del M5S, compresa l’attuale ministra per il Sud Barbara Lezzi, lo scorso 23 febbraio. E che impegnava a intraprendere tutte le azioni politiche necessarie per interrompere la realizzazione del gasdotto. Un documento senza valore legale «ma dall’alto valore morale» ha sempre sostenuto Potì.