Il governo si schiera contro Mittal, ma non ha soluzioni per risolvere la vertenza più importante, difficile e lunga. La teleconferenza coi sindacati per discutere del piano industriale «Post Covid» consegnato venerdì scorso da Lucia Morselli con circa 5mila esuberi si snoda con accenti diversi nel governo, sebbene tutti contrari al documento inviato da AmInvestCo – la denominazione della cordata vincitrice del bando dell’ormai lontano 2015, diventata poi Arcelor Mittal Italia.

Se il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli parla di «piano inaccettabile» le parole di Roberto Gualtieri – che col Mef e Cassa Depositi e prestiti dovrebbe entrare nel capitale dell’ex Ilva – sono meno dure – «piano insoddisfacente» – e lasciano intravedere la volontà di trovare un compromesso con la famiglia Mittal.

PROPRIO LA POCA CHIAREZZA del governo è l’elemento che ha infastidito i sindacati, tutti dichiaratisi insoddisfatti dal confronto, seppur avendo visto confermata la giustezza del loro giudizio sul piano e su Mittal.
Il problema di fondo è la complessità della vertenza, della gestione dell’acciaieria ancora più grande d’Europa (Taranto, con i suoi 8.500 addetti) e della crisi sociale mai risolta e acuita dalla guerra giudiziaria fra Mittal e governo e ora dagli effetti della pandemia da Covid 19.

L’alternativa a sedersi al tavolo con Mittal è infatti impraticabile. Lo stato da solo – o con piccoli produttori italiani come Arvedi e Marcegaglia – non è in grado di gestire un gruppo come l’ex Ilva. Lo ha già dimostrato durante la fase commissariale e in più i tempi di una nazionalizzazione o riconversione sono troppo lunghi per dare certezze agli attuali 11mila dipendenti sparsi su buona parte della penisola a partire da Genova e ieri tutti in sciopero.

La partita sarà dunque lunga con Mittal che può attendere fino a novembre per poi uscire dal contratto con una penale ridicola per il gigante siderurgico – 500 milioni – a fronte del guadagno già incassato a Taranto: aver fatto fuori un concorrente ed essersi assicurato il suo portafoglio clienti.

PER TUTTI QUESTI MOTIVI L’UNICA via di uscita appare essere quella proposta dai sindacati: usare l’ingresso dello stato nel capitale per costringere Mittal ad accettare un piano industriale e ambientale più ambizioso che porti a zero esuberi e ad una riconversione verde della produzione di acciaio, accompagnata anche dai fondi europei già promessi dal commissario Timmermans con il «Green New Deal» europeo, tramite la newco confermata da Patuanelli per l’utilizzo dell’acciaio preridotto e dei forni elettrici.
Un sentiero assai stretto che va inevitabilmente accompagnato da una legislazione ad hoc per Taranto. Non a caso la richiesta del maggior sindacato – la Uilm – è quella di prepensionamenti per i tanti operai over 50 dell’acciaieria dalla salute già compromessa.

La via della riconversione totale – inizialmente proposta dal M5s e da Beppe Grillo e ancora chiesta a gran voce dalle associazioni ambientaliste tarantine a partire da Peacelink – è invece molto più indigesta per il lavoratori che difficilmente accetterebbero di ricollocarsi a 50 anni passati e, soprattutto, definitivamente abbandonata dal governo che considera la produzione di acciaio a Taranto «strategica per il paese».

«Dal governo non è arrivata nessuna risposta su come intende procedere in questa grave situazione di abbandono degli stabilimenti e di crisi occupazionale – attacca Francesca Re David della Fiom – . Nessuna risposta su quale progetto anche alternativo di ingresso dello Stato. Invece è necessaria una svolta radicale nel metodo e nel merito. Deve essere chiaro che per noi resta valido l’accordo sindacale del 6 settembre 2018 che prevede la piena occupazione». Chiede di «uscire dal ricatto di ArcerlorMittal», che «non è più credibile», il segretario generale della Uilm Rocco Palombella, che pure parla di «incontro inconcludente che non ha dato alcuna risposta ai lavoratori in condizioni di disperazione». L’azienda «ha stracciato l’accordo del 2018 fatto col sindacato e quello del 4 marzo fatto col governo e altrettanto farà con il piano inviato il 5 giugno», prevede Marco Bentivogli (Fim Cisl) che spera in improbabili «nuovi soggetti industriali».

PATUANELLI HA CHIUSO IL TAVOLO annunciando una convocazione di azienda e sindacati per settimana prossima. Difficile che ne esca qualcosa di buono.