L’onda Mes si rovescia sulla navicella del governo, già preda della tempesta. Non è l’unico cavallone. C’è il Recovery Plan italiano, che procede lentissimo. Ci sono i conti che ballano, con l’Ufficio parlamentare di bilancio, di solito voce di Bruxelles, che prevede un deficit 2020 non al 9% ma al 10,8, abbassa la stima di crescita per il 2021 al 5% e bacchetta il governo sia sulla politica di bilancio, «parzialmente indefinita», sia sull’utilizzo dei fondi del Recovery, sul quale «non sono riportati dettagli, il che rende difficile valutare il forte impatto della retroazione fiscale previsto dal governo».

MA L’ONDA PIÙ VIOLENTA, per ora, è il Mes, soprattutto perché il 30 novembre la riunione Ecofin deve dare il via libera alla sua riforma. Prevede l’attribuzione all’ex Fondo salvastati di una funzione aggiuntiva: garantire la sicurezza finanziaria al Fondo di risoluzione unico, centrale per la gestione delle crisi bancarie. Serve il sì dell’Italia e non sarebbe in discussione se la vicenda non si intrecciasse con l’eterno braccio di ferro sul prestito sanitario di 37 miliardi. Nella riunione di ieri mattina tra Conte, i ministri Gualtieri, Amendola, e Di Maio e i capidelegazione il clima si è arroventato, al punto da far temere un veto italiano, in pieno stile Orbán, alla riforma del Mes.

AD APRIRE IL FUOCO è stata Teresa Bellanova per Iv: «Quei soldi servono subito». Di Maio si è imbizzarrito: «La nostra posizione è quella di sempre. Capitolo chiuso». Il Pd si è schierato a sostegno della capodelegazione renziana. «Con il Recovery in ritardo quei fondi sono più necessari che mai», fa filtrare il Nazareno. I 5S, temendo che il voto a favore della riforma in sede Ecofin implicasse automaticamente l’accettazione del prestito hanno fatto capire che in questo caso anche il sì italiano sarebbe tornato in forse. Conte e Gualtieri, come sempre, si sono trincerati dietro la tattica del pesce in barile. Fosse per loro il Mes sarebbe sepolto. Conte lo ha detto chiaramente lunedì sera, a Otto e mezzo: «Abbiamo già tantissime risorse. È necessario cambiare passo nella capacità amministrativa».

Anche il ministro dell’Economia, nelle settimane scorse, si era esposto, salvo poi retrocedere su pressione del suo stesso partito. Al momento dello scontro, però, nessuno dei due si schiera apertamente. Il premier continua a puntare sul rinvio all’infinito per aggirare l’esplosiva grana.

PER QUANTO RIGUARDA il voto del 30 novembre, la soluzione alla fine si trova. Passa per la garanzia ai 5S che non ci sarà alcun automatismo tra l’accettazione della riforma e la richiesta di prestito e per un passaggio parlamentare del ministro dell’Economia prima del vertice. Gualtieri incontrerà, forse già venerdì, le commissioni Bilancio e Politiche Ue, assolvendo così all’impegno assunto quando si era discusso della riforma di non firmare niente senza ripassare per le Camere. Resta in sospeso la bomba prestito. Per il Pd la questione non è affatto chiusa. In serata, ieri, il vicesegretario Orlando è tornato alla carica, «Va assolutamente utilizzato», e stavolta è stata Iv a correre in soccorso. Prima o poi Conte dovrà smettere di accumulare polvere sotto il tappeto e dire una parola definitiva.

ANCHE PERCHÉ LA MINA Mes rischia di intrecciarsi con quella del Recovery italiano. Il progetto del premier è chiaro. Vuole una cabina di regia che farebbe capo a palazzo Chigi, secondo il solito modus operandi: concentrare le decisioni nelle mani del capo del governo. Una linea che incontra ostacoli non solo nel Pd e in Iv ma persino nei 5S. La nota critica è che il progetto italiano, da presentarsi a metà gennaio, è in realtà arretratissimo. Lo certifica del resto la rampogna dell’Upb anche se ieri, dopo una telefonata con Ursula von der Leyen, sia Conte che la presidente della Commissione hanno assicurato che tutto procede con la dovuta celerità.

IN QUESTE CONDIZIONI, il capo del governo affronterà domani le Camere per la richiesta di scostamento di 8 miliardi necessari per il quarto dl Ristori. La maggioranza assoluta dovrebbe essere certa anche al Senato, ma la decisione di Fi mantiene un peso politico notevole, essenziali o meno che siano i suoi voti. Berlusconi non ha sciolto la riserva. Aspetta di vedere come si concretizzerà l’impegno a favore degli autonomi annunciato da Conte. Insiste sul semestre bianco fiscale e su corposi indennizzi. Per non lacerare il centrodestra, l’ipotesi di Forza Italia è un documento comune che, se accettato, implicherebbe il voto di tutti a favore dello scostamento.