La situazione politica spagnola sta precipitando. Contrariamente a tutte le aspettative, Pedro Sánchez non è ancora stato votato presidente del governo e, con tutta probabilità, non lo sarà ancora per molto tempo. La presidente della Camera, la socialista Meritxell Batet, ha già fissato la sessione di investitura del presidente del governo per il 22 e il 23 luglio, a quasi 3 mesi dalle elezioni. In prima votazione, il giorno 23, Sánchez avrebbe bisogno della maggioranza assoluta dei 350 deputati (176 voti); 48 ore dopo, il 25, si ripete, e in quel momento al candidato basterebbe la maggioranza semplice (più probabile). Ma con soli 123 seggi, il partito socialista è lontano dall’obiettivo di riconquistare la Moncloa. Il paradosso è che, con i risultati del 28 aprile, non esiste nessun’altra opzione politica che un governo a guida socialista.

Ma il problema è che il Psoe, con il passare delle settimane, e soprattutto dopo i risultati delle europee del 26 maggio, si è irrigidito. Ed è tornata la tentazione del passato: quella di annientare un debilitato Podemos, nonostante un anno di leale appoggio parlamentare in una situazione assai più scivolosa di quella di oggi. Ma senza i 42 voti di Unidas Podemos, il Psoe non ha nessuna speranza di ottenere l’ambita poltrona. La notte elettorale, i militanti socialisti avevano gridato «con Rivera no» «Albert Rivera è il segretario di Ciudadanos). Obbligando i dirigenti socialisti a frenare l’ovvia tentazione di ricorrere ai voti arancioni (che sono ben 57, abbastanza per una solida maggioranza): le basi socialiste, unite alla svolta a destra di Rivera, che ha abbandonato il mantra «né di destra, né di sinistra», hanno reso per ora impossibile il piano. Ma Sánchez, nonostante gli appelli all’unità della sinistra contro le destre in campagna elettorale, non sembra avere intenzione rinunciare alla politica dei due forni: appoggio a sinistra per le politiche sociali, e a destra per quelle economiche. Per fare questo però i socialisti avrebbero bisogno di un governo monocolore. Podemos invece cerca da mesi di convincere i socialisti a un governo di coalizione, ovvia strategia politica in qualsiasi altro paese. Con 165 seggi (+1 di Compromís) e una manciata di astensioni si potrebbe dare il via alla legislatura. Iglesias e i suoi temono invece che senza voce, seppur minoritaria, in consiglio dei ministri Sánchez annacquerà i programmi sociali al centro dell’agenda politica viola.

Benché Ciudadanos sia impegnato in piroette politiche per non ammettere di essere alleato con l’estrema destra di Vox (da due giorni per esempio si stracciano le vesti perché durante la marcia del Pride di Madrid di domenica scorsa sono stati contestati dal movimento Lgbt per la loro alleanza con l’unico partito dichiaratamente omofobo), è chiaro che Sánchez vorrebbe almeno un occhiolino dalla destra. Ma ieri, dopo l’ennesima infruttuosa riunione con Iglesias, il presidente si è visto solo con il leader popolare Pablo Casato: Rivera infatti si è rifiutato di incontrarlo.

La portavoce socialista Adriana Lastra in conferenza stampa ha accusato Iglesias e Podemos di cercare solo poltrone e ha minacciato che se a luglio non c’è il governo, non ci sarà una seconda opportunità a settembre. In teoria, ci sarebbero due mesi di tempo per riprovarci prima che scatti automaticamente una nuova chiamata alle urne. La strategia è chiara: accusare i viola di un’eventuale ripetizione elettorale. Ma le richieste viola sono ragionevoli: solo un terzo dei ministri (hanno la metà dei voti dei socialisti), e addirittura lunedì hanno fatto sapere che sono disposti a farsi da parte sulla questione catalana, su cui il partito ha sempre avuto una posizione assai più flessibile che quella socialista. Non è bastato. Le sirene dei sondaggi che danno i socialisti in ascesa sono troppo forti. La parola d’ordine è asfaltare Podemos.