Tra risse sfiorate e provocazioni grossolane, schiamazzi e assembramenti, baci e abbracci che i renziani si scambiano in aula mentre invitano alla prudenza, risate di scherno e ringhi ben temperati, il particolare quasi sfugge. In realtà, nelle pieghe della giornata in cui riferisce in parlamento sul decreto Riaperture, Giuseppe Conte trova modo di annunciare neppure troppo fra le righe il no dell’Italia al Mes.

«Non è un obiettivo e non lo è mai stato né è una soluzione. Non è solo questione di condizionalità: il Mes è un prestito comunque da restituire». Dagli spalti del Pd, dove un paio di mesi fa la questione veniva presentata come di vita o di morte (del governo), fingono di non sentire. Per ora le cose andranno così «ma quando poi, in settembre, quei fondi saranno necessari per la Sanità qualcosa cambierà», scommettono dalle parti del Nazareno.

È PROBABILE CHE VADA davvero così, ma è evidente che chiedere alcuni miliardi in autunno su progetti circoscritti sarebbe cosa ben diversa dall’accesso immediato alla totalità del credito concesso. A pesare sulla decisione di Conte, forse non ancora definitiva ma quasi, collaborano diversi fattori. Ieri Cipro è stato il primo Paese a chiedere il prestito, ma è troppo piccolo per consentire all’Italia di non apparire come il solo Stato obbligato a ricorrere alla linea di credito, con tutte le ricadute negative che ne deriverebbero in termini d’immagine e sui mercati.

Gli equilibri di maggioranza, per quanto lo neghi, sono sempre in testa ai calcoli del premier e in questo caso il rischio 5 Stelle è decisamente quello più grave. Ma soprattutto l’Europa ha chiarito che anche quei fondi arriveranno sulla base di progetti precisi, come più tardi quelli del Recovery Fund, e che siano a fondo perduto o a prestito da questo punto di vista cambia ben poco. E di progetti per ora non ce ne sono.

È QUESTA LA SFIDA che attende il governo e la maggioranza. Il resto è balletto politicante. Conte finge di tendere la mano all’opposizione proponendo di collaborare a tre riforme essenziali: sburocratizzazione, investimenti e giustizia. Non ci crede e non ci spera ma sa di non avere nulla da temere perché Salvini è disinteressato almeno quanto lui alla distensione.

A ogni buon conto i 5 Stelle fanno saltare il tavolo ancora prima che si parli davvero di apparecchiarlo e non è detto che lo facciano apposta. «È il comune sentire del Movimento», spiegano dal M5S elogiando il pentastellato Riccardo Ricciardi che nell’aula di Montecitorio attacca la sanità lombarda. Con un «comune sentire» del genere, e con i leghisti che replicano minacciando di passare direttamente alle botte, non è che ci sia grande spazio per il dialogo.

Ma sono appunto minuetti di poco conto. Il punto critico è con quali progetti reali affrontare la Fase 2, quella in cui bisogna passare dai rimedi emergenziali alla strategia per la ricostruzione. Conte lo sa: non a caso apre il suo discorso rivendicando le decisioni prese dal governo nel momento del contagio dilagante ma lo chiude indicando nella crisi l’occasione per cambiare il Paese e risolvere i nodi accumulati nel corso del tempo e mai sciolti. Le catastrofi, si sa, sono anche grandi opportunità.

MA È QUI CHE GOVERNO e maggioranza, per ora almeno, rivelano massima debolezza. Conte indica una direzione ma oltre questo non va. Il primo passo, forse il più importante, è la «sburocratizzazione» ma la marcia segna il passo. Il dl che doveva arrivare a stretto giro è rinviato di 15 giorni. Sburocratizzare significa infatti rimettere le mani nel codice appalti, nelle norme antimafia, nello sbloccacantieri, che fissa a propria volta nuove norme. I renziani risolverebbero la faccenda sbrigativamente, per i 5S quelle materie sono tabù, i capisaldi residui della loro identità storica. Semplificare, in questo caso, tutto è tranne che semplice.

L’elemento forse più sconcertante è l’afasia del Pd, con la parziale ma limitata eccezione del ministro per il Sud Provenzano. Renzi una sua ipotesi la mette in campo, anche se a conti fatti si riduce al fare della sua Iv sponda e grancassa nel governo degli interessi di Confindustria e Coldiretti, dei datori di lavoro. I 5S sono un vascello senza pilota ma non è una novità. Mettere in campo proposte reali di politica industriale per la ricostruzione spetterebbe più che a ogni altro al Pd. Che però resta muto.