Scandito, sostenuto, abbottonato per un’ora. Tre omaggi obbligati – Napolitano, Monti, papa Francesco –, un pensiero riconoscente – Bersani (applausi e un po’ di commozione) – due sole citazioni, la prima in codice e la seconda esplicita, tutte e due per il maestro Nino Andreatta. «Il linguaggio sovversivo della verità» riecheggia uno slogan elettorale poi diventato santino alla memoria del prof. E sul finale «ho imparato da Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come dialettica tra diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni ai problemi comuni». Meglio dedicarsi alle politiche, dice Enrico Letta alla camera dei deputati incorniciato tra Angelino Alfano ed Emma Bonino, perché altrimenti «le nostre differenze ci immobilizzeranno».

Invece si parte. E con un orizzonte abbastanza lungo. Non solo per l’elenco dei tanti impegni, ma anche per un riferimento preciso: un anno e mezzo, almeno, assicura il presidente del Consiglio. È il tempo assegnato alla Convenzione costituente: dopo 40 anni di dibattito sulle riforme Letta ha pensato di dover offrire qualcosa di più di una promessa. Una data di scadenza. Verificherà il lavoro «tra 18 mesi» e se avrà la «ragionevole certezza» che la Convenzione non avrà successo, allora non esiterà «a trarne le conseguenze». Un preavviso di dimissioni tutto da verificare.

[do action=”citazione”]Enrico Letta riceve la fiducia (453 sì e 153 no) con un discorso tanto ambizioso sulla «politica» quanto bloccato nelle «politiche». Stop a Imu e Iva a giugno. Via il finanziamento pubblico ai partiti[/do]

Meno giovane e non più robusto, Letta si identifica in Davide contro Golia. Il contesto è preso un po’ dalla Bibbia un po’ da Guerra Stellari: «Siamo nella valle delle nostre paure». Adesso si tratta di andare contro il gigante. «Abbiamo scelto i nostri ciottoli, le nostre proposte di programma», mancherebbero solo la fiducia e «il coraggio di affrontare la sfida liberandoci dall’armatura». L’armatura della metafora sarebbero le contrapposizioni degli ultimi vent’anni. Anche quel coraggio «forse l’abbiamo trovato», può dire Letta avendo alla sua destra Alfano, al quale dedica un abbraccio più timido ma anche più logico di quello che ha condannato Bersani.

I ciottoli di Davide erano cinque ma ne bastò uno, qui sono soprattutto quelli del Pdl. Ecco allora nel programma un bel po’ degli otto punti di Berlusconi. Innanzitutto l’Imu, si sospende il pagamento a giugno e si studierà una riforma, poi la revisione «dell’intero sistema della autorizzazioni» copiato e incollato dalla propaganda Pdl. Altri punti graditi al Cavaliere: meno restrizioni per i contratti a termine, la promessa di calmare fisco e Equitalia («non deve provocare brividi quando viene evocata») e persino l’applaudita abolizione della legge sul finanziamento dei partiti approvata appena un anno fa.

Molto più sfumati i punti di Bersani, che anche quelli erano otto. Ne resta traccia nei passaggi più ideali, cioè meno concreti. No all’austerità, perché «di solo risanamento l’Italia muore». Sì all’impegno per l’istruzione e la ricerca, un «grande piano» da finanziare con i project bond. Poi un accenno a «studiare forme di reddito minimo» – che però si porta dietro una revisione del welfare che non promette bene – e una citazione per la ministra Cecile Kyenge: Letta vuole trasformare «il confine da barriera a speranza», bello ma siamo lontani dalla riforma della cittadinanza promessa dal Pd. Dal programma restano naturalmente fuori i vecchi impegni per una nuova legge anti corruzione, la reintroduzione del falso in bilancio, le norme sull’ineleggibilità e l’incompatibilità. Sulla giustizia, osservata speciale, innanzitutto dall’alleato Berlusconi, il passaggio è veloce e consapevole dello sguardo occhiuto. Un po’ di spazio se lo prende giustamente «l’intollerabile» situazione delle carceri. Letta la cita ma non dice come intende risolverla.

Non manca qualche riferimento ai 5 stelle. Come nello streaming, disponibilità ma anche fermezza. Impegni sulla moralizzazione della vita pubblica, riconoscimento che le piccole e medie imprese – come ripete Grillo – sono «il vero motore dello sviluppo» (e non è l’unica concessione al banale, del mezzogiorno ad esempio si parla ancora come «giacimento inutilizzato»), e soprattutto una frase, un’autocritica che i grillini rileggeranno per capire se è apertura o porta in faccia: «Non abbiamo compreso quanto le legittime istanze di innovazione, partecipazione, trasparenza, sottese alla rivoluzione del web, potessero tradursi in un oggettivo miglioramento della qualità della nostra democrazia rappresentativa anziché sfociare nell’illusione della democrazia diretta». E’ un governo «di emergenza» ma non è troppo tardi. Letta vuole crederci. Non siamo, dice, «il canto del cigno di un sistema imploso». Ma sulle punte dovranno ballare.