Pienone ieri sera a palazzo Chigi per l’ennesimo vertice sull’autonomia differenziata. C’erano quasi tutti i ministri attorno al tavolo di Giuseppe Conte, segnale della volontà di concludere ma anche scenario perfetto per un nuovo scontro tra leghisti e grillini. Partito dal tema delle risorse.

Dopo la fumata nera della settimana scorsa, con Salvini andato via a metà riunione per un impegno televisivo, ieri accanto ai vicepremier si sono presentati da una parte i 5 Stelle Lezzi, Fraccaro, Toninelli , Bonisoli, Costa, Grillo e Trenta e dall’altra i leghisti Stefani, Fontana e Bussetti (e il vice ministro Garavaglia). Presenza di peso quella del ministro tecnico dell’economia Giovanni Tria, era stato proprio lui infatti a sollevare i dubbi più pesanti sul progetto di autonomia differenziata quando aveva spiegato in parlamento che non c’è alcuna garanzia che la spesa statale non debba salire per compensare la quota maggiore di Irpef destinata a restare alle regioni. Il ministro ha svolto l’intervento iniziale, affrontando anche i problemi della perequazione per le regioni del sud, dopo di lui è toccato alla ministra Stefani, la leghista che ha la responsabilità degli affari regionali, spendersi per il progetto. Del quale avevano parlato ancora ieri a pranzo Salvini e il presidente di una delle regioni capofila del disegno leghista, la Lombardia (le altre due sono Veneto ed Emilia Romagna, che pure è a guida Pd). A tarda sera, quando il vertice era ancora in corso e non si intravedeva una conclusione, fonti M5S trasferivano alle agenzie di stampa una residua «insoddisfazione» per le posizioni della Lega. Non si può escludere quindi un nuovo rinvio, anche se Conte poco prima dell’inizio aveva assicurato che i testi degli accordi sarebbero stati portati al primo Consiglio die ministri utile. E Garavaglia, uscendo da palazzo Chigi a vertice in corso, ha dichiarato che «c’è un clima positivo, penso si possa chiudere».

Per sbloccare la situazione e ottenere almeno un passo in avanti – anche a costo di doversi fermare di nuovo successivamente -, Salvini ha aperto per la prima volta a un esame più approfondito degli accordi con le regioni in parlamento. «Il parlamento potrà discutere, ci sono le commissioni che possono approfondire, suggerire, modificare», ha detto il ministro dell’interno arrivando al vertice. Anche se, ha aggiunto, «l’importante è che esca un testo dal Consiglio dei ministri, altrimenti di cosa stiamo parlando?». E il testo dovrà necessariamente essere concordato, prima, con le tre regioni apripista dell’autonomia differenziata «sono loro le protagoniste e devono dire sì o no», ha concluso Salvini. La sua non è un’apertura da poco, perché fino a qui la Lega non si muoveva dalla richiesta di sottoporre i disegni di legge che recepiranno gli accordi al solo esame, consultivo, delle due commissioni bicamerali che si occupano delle questioni regionali. Adesso invece il leader leghista parla di esame «nel merito», ma le materie oggetto di possibile devoluzione sono, nelle richieste, moltissime e l’esame potrebbe coinvolgere tutte le commissioni permanenti di camera e senato.

Sul tavolo, affollatissimo, di palazzo Chigi, Salvini ha messo anche la nomina del ministro degli affari europei, in sospeso da quattro mesi dopo le dimissioni di Paolo Savona passato alla Consob. Entrando a palazzo, il vicepremier ha anticipato il premier annunciando che avrebbe proposto un nome per quel ministero – assegnato d’ufficio alla Lega dopo il risultato delle europee. Conte a così solo potuto confermare la notizia, mettendo tra parentesi si 120 giorni di buco (proprio quando più serrata si è fatta la trattativa con la Ue) e spiegando che «adesso i tempi sono maturi… possiamo procedere speditamente… mi consulterò subito con i due vicepremier». Il nome più accreditato è quello di Guglielmo Picchi, sottosegretario leghista: una soluzione interna allo stesso ministero per gli affari europei. Assai meno probabile l’alternativa che però circolava ancora ieri, quella del presidente della commissione finanze del senato Alberto Bagnai. L’economista noto per le sue posizioni anti euro sarebbe vissuta come una provocazione dell’Unione che proprio ieri ha chiuso (per il momento) la procedura di infrazione contro l’Italia. Altro candidato possibile, il fedelissimo del capo leghista e ultra cattolico Lorenzo Fontana: per lui si tratterebbe di una promozione da ministero per la famiglia dove è rimasto fin qui un po’ in ombra. Ma fino all’anno scorso, da parlamentare europeo, era stato il riferimento in Europa di Salvini.