Ostentano piena armonia, «un nuovo stile», il cancelliere e il vicecancelliere, maestri della comunicazione. parla con u tono pacato H.C. Strache, capo della xenofoba Fpoe, quando spiega alla stampa il suo piano per internare i richiedenti asilo in caserme in periferia, col divieto di libera uscita serale per non disturbare il vicinato. Dal castello di Seggau in Stiria dove ieri ha concluso il suo ritiro di due giorni, il neogoverno di destra guidato da Sebastian Kurz – una coalizione tra i popolari (Oevp) del premier e il partito della libertà (Fpoe) di Strache – ha annunciato i suoi primi provvedimenti destinati a colpire non solo gli stranieri, ma anche le fasce basse della popolazione. A partire dalla riduzione dei contributi familiari agli immigrati i cui figli sono rimasti nel paese d’origine. Non dovrebbero più percepire gli stessi importi dei bambini che vivono in Austria (da 114 a 165 euro al mese secondo l’età) ma somme calibrate al costo della vita dei paesi in cui vivono. Il provvedimento viola le norme Ue di parità di trattamento e colpirà in primo luogo le badanti originarie delle vicine Slovacchia e Ungheria.

Il neocancelliere la chiama misura di «equità, perché dobbiamo mandare circa 300 euro al mese per due bambini in Romania che là corrispondono a metà dello stipendio medio»? Nel 2016 per 132.000 bambini sono stati spesi 273 milioni in assegni familiari. La maggior parte nei paesi Visegrad a cui l’Austria nero-azzurra si è allineata sulla questione migranti e che certo non gradiranno la novità. Dalla riduzione dei contributi familiari il governo si aspetta un risparmio di 114 milioni l’anno. Gli importa poco che la commissione europea si sia già espressa negativamente sul progetto annunciando di voler esaminare la legge.

Ma ce n’è anche per i lavoratori austriaci, per gli over 50 disoccupati di lunga durata. Già il primo gennaio in tutta fretta, è arrivato lo stop alla cosiddetta «azione 20.000» che avrebbe dovuto creare 20.000 posti di lavoro socialmente utili o creativi sovvenzionati dallo stato. Ultimo residuo socialdemocratico del precedente governo di grande coalizione, il programma era partito solo pochi mesi fa creando già qualche migliaio di posti nuovi. Il consiglio dei ministri ieri ha deciso anche di abbassare i contributi che finanziano i sussidi di disoccupazione spiegando che in questo modo si alleggerisce il carico contributivo sui redditi bassi. In realtà i redditi bassi fino a 1.381 euro non devono pagare contributi per i sussidi, la riduzione prevista favorisce quindi solo redditi che sono più alti. La nuova misura comporterà un risparmio di 140 milioni l’anno.
E’ solo l’inizio del capitolo stato sociale e lavoro che verrà integralmente riscritto e destinato a non piacere agli elettori della Fpoe.

Johann Gudenus, capogruppo della Fpoe alla camera, ha spiegato senza diplomazie le ragioni del piano del governo di concentrare i richiedenti asilo in strutture di massa nelle periferie delle città: un modo per impedire ogni integrazione che poi renderebbe più difficile le espulsioni.
Nessuna integrazione anche per chi ottiene il diritto d’asilo, beneficio che in Austria è già sottoposto a verifiche per accertare la sussistenza nel Paesi di origine delle cause che avevano portato al riconoscimento dello status di rifugiato.

Per «internare anziché integrare i rifugiati» ha accusato l’assessore socialdemocratico per l’integrazione al comune di Vienna, Juergen Czernohorszky, per il quale non vale più neanche il discorso dei costi e del risparmio: gli alloggi di massa costeranno infatti 730 euro al mese per ogni rifugiato, mentre quelli privati soltanto 280. La stessa Corte dei conti aveva raccomandato sistemazioni in alloggi privati.
Intanto il clima nel paese è avvelenato come dimostra la vicenda di Asel, prima bambina nata in Austria nel 2018. La piccola è musulmana e questo fatto ha scatenato reazioni di odio in rete contro di lei e contro la madre, fotografata con il velo. A contrastare, con successo, gli haters, è stata per la Caritas di Vienna lanciando l’hashtag #mandiamofioriadasel, appello a cui hanno risposto ventimila persone.