«Basta prendere il buon esempio dal grande partito della socialdemocrazia tedesca. L’Spd ha votato per le larghe intese nella direzione nazionale ma poi ha sottoposto la scelta a tutti gli iscritti. Perché non farlo anche noi? Con Bettini, chiedo un referendum sulle larghe intese fra tutti gli iscritti».

In questo caso lei, Gianni Pittella, cosa voterebbe?

Voterei no. Ho stima per Enrico Letta, persona eccellente, ma sono contrario a mettere insieme forze che si sono combattute fino al giorno prima. Fra l’altro le schegge della guerra fratricida del centrodestra cadono sul governo. Senza considerare la questione giudiziaria. Tutto questo, sommato ai risultati evanescenti prodotti sulla vita dei cittadini, ci dice che è difficile andare avanti così.

Il Pdl ha sancito la sua divisione. Cosa cambia per il governo?
Poco. Il Pdl governista è più responsabile. Sono persone rispettabili, ma di non a caso Berlusconi ha subito detto che sono un pezzo del polo moderato.

Primo banco di prova, la legge elettorale. Il Pd che deve fare?

Il Pd vada in parlamento e sfidi le forze politiche. Per me il Mattarellum va bene, e in ogni caso la nuova legge deve riconsegnare al cittadino la scelta del rappresentante e confermare il bipolarismo. Chi vuole impedire una riforma si assumerà la responsabilità di tornare al voto con il Porcellum.

I sondaggi la danno ultimo fra i 4 candidati alle primarie. Al voto dell’8 dicembre passeranno i primi tre. Nel caso toccasse a lei rinunciare, che farebbe?

I sondaggi non servono, valgono i voti veri. E, arrivati al 95 per cento delle assemblee di circolo, i voti veri dicono che al nord c’è un testa a testa fra Cuperlo e Renzi e poi c’è Civati; al sud invece per terzo vengo io. I dati del Mezzogiorno mi faranno recuperare il distacco che Civati può darmi nel nord. Ma nel caso riunirò i miei sostenitori. Non deciderò da solo.

Sull’idea di partito futuro, si ha l’impressione che tre candidati siano più vicini fra loro e lontani da Renzi. E’ un’impressione giusta?

Ci sono differenze e convergenze fra tutti. Io sono per un partito federale. A differenza di Renzi sono per una leadership collettiva, che valorizzi il gioco di squadra, gli iscritti, i militanti, la rete sui territori. Per un partito che fa le primarie e anche le doparie, cioè che chiama gli eletti a presentare ogni anno il rendiconto sulla propria attività. Un partito trasparente ma con le idee chiare: che rifiuta l’ipocrisia di dire totalmente no al finanziamento pubblico, che lo riduce dell’80 per cento ma rende tracciabili tutti i soldi versati.

Se le primarie premiassero un segretario diverso da quello votato dagli iscritti si porrebbe un problema politico nel Pd?

Intanto non accadrà. In ogni caso il punto vero è che il voto degli iscritti, per una regola da ospedale psichiatrico, serve solo a scremare i nomi delle primarie. È assurdo chiamare 300mila persona solo per chiedere, nei fatti: chi volete togliere, Pittella o Civati?

L’alleanza di centrosinistra ha un futuro?

Guai a noi se no. Ma dobbiamo costituire questo campo democratico sulle cose da fare. Non dobbiamo accordarci o dividerci su slogan o ideologie, ma sulla riforma del welfare, del fisco, su come creare occupazione e ridare impulso all’economia. Sugli invisibili, i disoccupati di 50 anni che nessuno guarda, sugli esodati. Sulla patrimoniale: il 5 per cento degli italiani è straricco e deve dare un contributo di solidarietà al restante 95 per cento.

Lei, da europarlamentare di lungo corso, ha proposto fra i primi di indicare il nome del presidente della Commissione europea al voto di maggio. Non è una riforma presidenzialista di fatto?

È il contrario esatto. Questo trasformerà la Commissione in un governo politico. Con un presidente forte, un ministero degli esteri vero, un ministero del tesoro che possa emettere eurobond. Se l’Europa non assume un profilo politico andrà in frantumi.
Fra gli ex ppi del vostro partito c’è chi dice che l’adesione al Pse è un tradimento del patto fondativo del Pd.
Non c’è nessun patto fondativo che vieta di aderire al Pse. Per anni abbiamo accettato i diktat di Rutelli, oggi Rutelli se n’è andato ma il Pd non ha aderito al Pse. E il problema non è solo che non possiamo stare senza un partito europeo. Il Pd è un partito senza identità. E ora deve acquisire una forte identità di socialista e socialdemocratica di tipo europeo.