Nella cosiddetta prima repubblica i governi si caratterizzavano soprattutto per due elementi: una preminenza pressoché assoluta della componente parlamentare (rappresentativa) e un tendenziale equilibrio territoriale. I membri dei governi erano per la quasi totalità eletti e provenivano da tutti i territori regionali in misura tendenzialmente proporzionale alla consistenza demografica. Dopo i primi trent’anni tale equilibrio tenderà progressivamente a indebolirsi in favore di una sempre più accentuata sovrarappresentazione del ceto politico meridionale, palesemente motivata da convenienze elettorali e che toccherà il suo apice nel VII governo Andreotti (1989-91), l’ultimo di quella fase, raggiungendo quasi la metà (47%) della componente parlamentare di quella compagine.
La fase successiva (dal 1992 in poi) si è caratterizzata invece per la traumatica interruzione di queste tendenze. È cresciuta significativamente la quota di “non parlamentari”, superando mediamente il 25% (sia pure con significative differenze fra schieramenti), e il ceto politico meridionale ha subito un processo di emarginazione, rimanendo tra il 25 e il 30%, con la sola eccezione dei due governi D’Alema (1998-2000) che superano il 30% grazie soprattutto all’apporto della componente centrista ed ex democristiana.
Saranno invece privilegiate, alternativamente, dal centrodestra e dal centrosinistra, le zone di tradizionale insediamento subculturale. Il nord, e in special modo la Lombardia (ma anche Veneto, Friuli e Piemonte), dal centrodestra (il quarto governo Berlusconi è formato da una delegazione lombarda che supera il 28%, collocandosi oltre quella dell’intero Mezzogiorno), le regioni dell’ex subcultura rossa (Toscana, Emilia, Umbria e Marche) dal centrosinistra (nel primo governo Prodi questa componente sfiora il 40%, mentre nel secondo, pur rimanendo sovrarappresentata, si ridimensiona fortemente, attestandosi al 25%).

Detto altrimenti, il fenomeno più evidente verificatosi nel corso dell’ultimo ventennio è quello di una parziale rottura delle tradizionali dinamiche di integrazione. Il centrodestra ha smaccatamente privilegiato il radicamento settentrionale, emarginando il Mezzogiorno nel quale pure, specie in regioni come la Sicilia, ha mantenuto un forte insediamento elettorale. Il centrosinistra ha parimenti emarginato il Mezzogiorno, premiando le aree di più forte e tradizionale insediamento e accentuando nel contempo il processo di destrutturazione della rappresentatività territoriale (il tasso medio di “non parlamentari” nei governi di centrosinistra è stato di oltre il 33%, contro il 16% del centrodestra).
Orbene, il governo Letta in parte rimane nel solco dell’ultimo ventennio. Permane anzitutto la marginalità del Mezzogiorno, la cui delegazione ammonta a circa il 28% della componente politica (16 su 56) e controlla solo tre ministeri, di cui uno senza portafoglio (Interni, Cultura e Pubblica amministrazione). La regione meridionale più rappresentata è la Sicilia, ma in modo assai sbilanciato, giacché dei sei siciliani al governo, cinque sono esponenti di partiti del centrodestra (4 del Pdl e uno di Grande Sud) e uno dell’Udc, mentre il Pd, che pure nel 2012 ha conquistato il governo della Regione, annovera un solo esponente siciliano, il sottosegretario alla Giustizia Berretta.
D’altro canto, il governo Letta riflette l’assenza della Lega, giacché la componente lombarda rappresenta appena il 10%, sebbene l’importanza degli incarichi compensi in parte la marginalità numerica, potendo contare su due ministri (difesa e infrastrutture), un viceministro (all’economia e finanza) e quattro sottosegretari. Ma, anche in questo caso, marginale è l’apporto del Pd, con appena due rappresentanti: il sottosegretario alle politiche agricole, Martina, e il sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali, dell’Aringa. Le ex regioni rosse sono invece rappresentate da una quota pressoché identica a quella del secondo governo Prodi: 13 su 55, pari a circa il 24%, annoverando ben sei ministri (di cui cinque senza portafoglio), due viceministri e cinque sottosegretari. Di questi, dieci sono esponenti del Pd, due del Pdl e uno dell’Udc.
I due principali partiti della coalizione hanno dunque selezionato le proprie delegazioni privilegiando la rappresentanza delle rispettive zone di insediamento tradizionale, con la differenza che il Pdl ha profittato dell’assenza della Lega per riequilibrare al Sud, e specificamente in Sicilia, la propria rappresentanza, lì dove, cioè, il M5S ha maggiormente eroso il suo consenso (passato da oltre il 45% ottenuto nel 2008, a poco più del 26% nel 2013, mentre il M5S ha ottenuto oltre il 30%). Il Pd, al contrario, non sembra aver creduto nella necessità di dare spazio alla rappresentanza partitica che pure controlla, da pochi mesi, il governo della Regione. D’altro canto, il governo Letta si segnala anche per l’inopinata esclusione dalla rappresentanza governativa di due regioni di primaria importanza come Piemonte e Friuli, mentre la Puglia è rappresentata dal solo ministro alla cultura Bray, leccese d’origine e eletto in Puglia, ma scarsamente ancorato politicamente a quel territorio.

Dal punto di vista della rappresentatività territoriale il governo Letta cumula insomma gli squilibri manifestati nel corso degli ultimi vent’anni dalle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra, producendo alcuni “cortocircuiti rappresentativi” in vasti e rilevanti territori del Paese. In compenso, quasi in omaggio al governo Monti, il governo Letta annovera una quota di “tecnici” di tutto rispetto (8). Soprattutto, però, i non parlamentari sono complessivamente 19 (circa il 30%) e i candidati al parlamento non eletti sono circa il 20% della componente politica. Il fatto che essi provengano in modo equilibrato da tutti i partiti della coalizione, palesa, come già accaduto nel secondo governo Prodi, una singolare volontà di risarcire una quota di esclusi dal parlamento, mantenendoli in questo modo entro il circuito politico, malgrado siano stati bocciati dagli elettori, oppure esclusi in partenza dalle liste elettorali. Stavolta in omaggio a Beppe Grillo.