Se lunedì sera il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda ha bloccato l’incontro con azienda e sindacati per le posizioni intransigenti sui salari prese da Arcelor Mittal, ieri il colosso indiano dell’acciaio si è un po’ ammorbidito. Lasciando intendere che ci tiene a mantenere nel proprio perimetro lo storico gruppo siderurgico italiano – «siamo qui per restare» – il figlio del magnate Lakshimi, Aditya, intervenendo a un dibattito a Cernobbio ha aggiunto che si occuperà «seriamente» di lavoro. Se questo potrà voler dire che verranno mantenute tutte le voci delle retribuzioni degli operai – inclusi scatti di anzianità e produttività, come chiede il sindacato – è presto per dirlo, ma la multinazionale asiatica qualcosa dovrà cedere, altrimenti l’Ilva potrebbe essere di nuovo messa sul mercato.

MA SUL PIANO PRATICO, come si potrebbe realizzare questo – per ora solo eventuale – stravolgimento di giochi già fatti? Più che passare l’Ilva nelle mani di AcciaItalia, la cordata che ha perso contro quella di Mittal, sembra più percorribile l’ipotesi di un coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti nella stessa cordata, la Am Investco, che si è aggiudicata la gara. Si tornerebbe, in sostanza, al ruolo di anchor investor, con una quota di minoranza, che la Cdp svolgeva in AcciaItalia.

Va ricordato che un’operazione del genere potrebbe andare in porto solo se ci fosse la disponibilità di Am Investco a cedere una quota del capitale: ipotesi neanche troppo peregrina, visto che sulla questione deve ancora esprimersi l’Antitrust Ue. Nel caso in cui la commissaria Margrethe Vestager dovesse accertare una posizione dominante di Arcelor Mittal in Europa in termini di capacità produttiva, si aprirebbe un ulteriore tema di discussione, che potrebbe rimescolare ovviamente le carte in tavola.

UNA CIAMBELLA DI salvataggio dal ministero dello Sviluppo è comunque arrivata ieri dalle pagine di Democratica, la rivista del Pd, a firma della viceministra Teresa Bellanova: «L’Ilva è una questione nazionale, ripartire subito con la trattativa: tornare al tavolo con il piede giusto.», scrive Bellanova. Secondo la viceministra bisogna «riconoscere che la difesa del salario coincide con la difesa di professionalità che hanno fatto dell’Ilva una delle più grandi fabbriche del mondo». «Di questo discutiamo e discuteremo con Am Investco e con tutte le parti sociali al tavolo».

Aditya Mittal, cfo di Arcelor Mittal,dal canto suo replica che Ilva rappresenta «una sfida non facile»: «Ma sono giovane – riprende – e sono qui per rimanere nel lungo termine e portare avanti questo con successo nel lungo termine». Gli indiani sono innamorati specialmente degli stabilimenti genovesi, del porto e dei collegamenti della zona: l’Ilva è «tra le acciaierie in Europa con la posizione migliore» è con «un porto di altissima qualità», che ha una «connessione marittima diretta con il Porto di Genova con una ubicazione ideale».

IL TAVOLO, LUNEDÌ SERA, era stato fermato da Calenda perché Am Investco, portando i livelli occupazionali del proprio piano da 8.840 dipendenti a 10 mila, aveva però lasciato immutato il costo del lavoro per singolo lavoratore, pari a circa 50 mila euro lordi l’anno. Da realizzare tagliando di netto tutte le voci della busta paga, salvo quelle del contratto nazionale. Che sommato alla perdita dell’articolo 18 causa applicazione del Jobs Act e a circa 4 mila esuberi (da reimpiegare però nelle bonifiche) faceva un bel pacchettino ai sindacati.

Il Consiglio di fabbrica di Taranto (Fim, Fiom, Uilm, Usb) ha chiesto ieri che «il governo e i commissari facciano immediatamente chiarezza sulle bonifiche affidate all’amministrazione straordinaria e su cosa deve essere fatto», per conoscere «le modalità con cui i lavoratori dovranno svolgere le stesse attività e le dovute garanzie per il futuro».

«ARCELOR MITTAL e governo abbiano ben chiaro che non permetteremo ulteriori rinvii in termini di garanzie ambientali e occupazionali, rifiutando logiche di possibili “scambi” sulle modalità e le tempistiche del risanamento ambientale legato alla salute dei lavoratori e della comunità tarantina e ionica», concludono Fim, Fiom, Uilm e Usb. Sia Francesca Re David (Fiom) che Annamaria Furlan (Cisl) avevano apprezzato lo stop al tavolo deciso dal ministro Calenda.