L’incubo di un nuovo 2008 va evitato in ogni modo, così governo e sindacati appaiono in sintonia sul caso Alitalia. “Per noi deve avere un piano industriale – esemplifica Susanna Camusso – non un piano di esuberi. Nell’incontro abbiamo parlato della conferma dell’impegno del governo perché ci sia una prospettiva positiva”. Il faccia a faccia fra il ministro dei trasporti Maurizio Lupi e i leader sindacali, compresi quelli di categoria, sembra confermare che l’esecutivo Letta, neo socio di Alitalia tramite le Poste, ha intenzione di far valere il suo peso, per ridurre al minimo gli effetti sociali della nuova ristrutturazione dell’ex compagnia di bandiera.

A poche ore dalla presentazione del piano industriale dell’ad Gabriele Del Torchio – il cda di Alitalia è convocato per le 18 di oggi – fra le incognite che restano non c’è quella di una spaccatura governo-sindacati: “C’è stata coincidenza di vedute sulle preoccupazioni – spiega Lupi – e su una azione di corresponsabilità, in attesa di verificare l’aumento di capitale e il piano industriale che dovrà essere di discontinuità”. Poi il ministro ha puntualizzato: “L’obiettivo del governo era quello della continuità di un’azienda come Alitalia, che pur essendo un’impresa privata rappresenta un settore strategico. Dunque puntiamo sul rafforzamento della compagnia che non deve essere solo un vettore regionale, ma che nell’ambito di una grande alleanza internazionale deve svolgere un ruolo fondamentale”.

Quanto ai possibili esuberi, la spiegazione dei timori governativi per un replay di quanto accadde cinque anni fa, con l’uscita dall’azienda di migliaia di addetti, arriva da Raffaele Bonanni: “Ci siamo visti per collaborare tra noi e vedere come tenere in piedi la compagnia – ha riepilogato il segretario Cisl – e il ministro sa che non accetteremo un piano industriale con lavoratori in esubero. Al governo sanno perfettamente che devono ancora sbolognare quelli del vecchio piano”. Non per caso, su Alitalia interviene anche il presidente laziale Nicola Zingaretti, che ha ben presente quanto incidono l’azienda e il suo indotto nell’economia del territorio: “Le voci di ulteriori esuberi ci preoccupano, perché si aggiungerebbero ai tagli degli scorsi anni e ai sacrifici che hanno già sopportato i lavoratori”.

In questo contesto, anche il passo indietro dell’attuale azionista di maggioranza (25%) Air France-Klm – che chiedeva un piano lacrime e sangue – non preoccupa troppo il governo: “Se Air France non sottoscrive l’aumento di capitale non muore nessuno – avverte Lupi – il piano industriale non cambia e si cercherà un altro partner internazionale”. Anche perché l’entrata in Alitalia di Poste con un investimento di 75 milioni è sufficiente per assicurare il via libera all’aumento di capitale: la soglia minima da raggiungere per considerarlo valido è di 240 milioni, e oltre a Poste ci sono già 71 milioni (Intesa San Paolo 26 milioni, Atlantia 26 milioni, Immsi 13 milioni e Maccagnani 6 milioni), cui vanno aggiunti altri 100 milioni assicurati da Intesa San Paolo e Unicredit.