È finita come doveva finire. Con la continuità nei due principali ruoli di rappresentanza istituzionale e di governo, si rassicurano Europa e mercati e può decollare la fase operativa del Pnrr. Scegliendo di utilizzare il massimo finanziamento possibile (a fondo perduto e a debito), l’Italia è l’unico paese a fare una grande scommessa: aggiungere altro debito a quello preesistente contando su una ripresa economica tale da rendere sostenibile il tutto. L’azzardo – perché di questo si tratta – è stato accettato dalla Ue per la fiducia nelle due figure di riferimento di Draghi e Mattarella. La loro conferma, travagliata nelle cronache, era in sostanza pressoché obbligata.

Adesso cominciano i problemi. Scadono i primi impegni che condizionano i finanziamenti; riforme ed attuazione dei progetti. Ambedue difficili. Le prime per la complessità politica, le seconde per le scarse capacità di spesa della macchina pubblica (vedi utilizzo dei fondi europei).
Per Draghi in particolare, la scommessa diventa rischiosa. Fallito il salto al Colle che gli avrebbe consentito di caricare su un nuovo governo il peso delle scelte operative, dovrà assumere in toto la gestione del Pnrr e della ripresa. E dovrà farlo a ridosso delle elezioni del 2023. Quindi in una campagna elettorale senza esclusione di colpi. E, fatto importantissimo, senza un partito di riferimento. Perlomeno ad oggi.

Comincia un anno difficile. il Presidente del consiglio sembra aver chiare queste difficoltà e ha impresso da subito un”accelerazione chiamando i ministri a cimentarsi con le tante scadenze. Ha dalla sua un’arma prevista: il possibile ricorso a commissariamenti in caso di inadempienze. Ma ci vorrà tempo per poterla usare. Quindi è prevedibile che il rapporto Draghi-partiti si farà più difficile. Anche perché gli stessi partiti escono ammaccati dalla vicenda quirinalizia, saranno tra loro più conflittuali e non potranno sottrarsi ancora per molto tempo all’esigenza di ristrutturarsi. In particolare i soggetti più governativi non potranno soggiacere ancora per molto alle spinte più populiste. Una qualche ristrutturazione si impone.

Intanto la corsa al centro. Nascono da qui i movimenti che stanno prendendo corpo e che investono prevalentemente Forza Italia, la Lega, parte del M5s ed i ceti politici nostalgico – centristi. Cosa accadrà in questa area magmatica è difficilmente prevedibile. E il fatto che i tempi della scadenza elettorale sono stretti potrà spingere in due direzioni: o facendoli precipitare a breve o, al contrario, rallentandoli e facendoli slittare al dopo elezioni. Resta comunque il fatto che, se è vero quanto detto all’inizio circa l’ineluttabilità del percorso avviato con i fondi europei, il processo di aggregazione verso un’area centrale moderata e depurata dell’estremismo populista sembra altrettanto ineluttabile. Naturalmente la direzione di marcia e la sua velocità dipenderanno molto dalla legge elettorale con cui si voterà nel 2023. Se sarà una legge proporzionale con soglia vicina al 5% essa potrà favorire le tendenze aggregative verso una stabilità. pro-centro. Ma non sarà una passeggiata. Ed è prevedibile che nei prossimi mesi non ci annoieremo.

E a sinistra? In questi giorni i toni bassi hanno prevalso. E forse è servito ad uscire meno ammaccati degli altri. Ma è auspicabile che il silenzio non divenga un vizio. C’è infatti una doppia esigenza davanti a noi. A breve, quella di stare nel vivo dei processi di gestione dell’uscita dalla pandemia, delle tante emergenze che interessano il corpo sociale e dello stesso dibattito politico che dovremmo cercare di animare facendo partecipare la società e facendolo uscire dal recinto del politicismo e degli addetti ai lavori.

Ma c’è un campo nuovo nel quale cominciare ad operare. La fase pandemica non lascerà solo macerie e maggiori disuguaglianze. Dentro di essa sono avvenute mutazioni profonde oggettive e soggettive, che dobbiamo individuare, capire, governare. Esse riguardano individui e soggetti collettivi. Basti pensare agli effetti sui giovanissimi e giovani delle distanze fisiche e sociali, ai rapporti parentali ed amicali, alle relazioni umane e ludiche, al loro rapporto con la scienza, la scuola, il corpo docente, il tempo libero, lo sport.

Un campo enorme tutto da indagare per non subire un’altra frattura nel rapporto giovani, politica, società, futuro. E quali implicazioni esso avrà nel corpo dei docenti e nel loro rapporto con gli studenti così come essi saranno stati forgiati dalla lunga esperienza pandemica? E a questo ampio ventaglio di problemi si aggiungono quelli più “oggettivi” che hanno riguardato la improvvisa e repentina rivoluzione digitale che ha contagiato, anche per necessità, strati sociali finora lontani. Cambiando la visione e la pratica del lavoro, dei rapporti sociali della comunicazione personale ed online, dell’organizzazione produttiva, della mobilità, dell’accesso alla fruizione dei servizi e della cultura. Insomma non pensiamo che questo primo elenco sia l’indice di un libro tutto da scrivere a più mani e da discutere a più voci? E non sarebbe questa l’occasione per la sinistra di dare voce e di parlare?