Alla fine di una ulteriore giornata drammatica, segnata da un’ulteriore accelerazione dei tempi della recessione di ArcelorMittal e da un incontro fallimentare tra l’ad Lucia Morselli, i leader sindacali e il ministro Patuanelli, si può dire solo che la chiusura è più vicina e che sulla pelle degli operai dell’Ilva si sta giocando tra la multinazionale e il governo una partita ambigua e sconcertante.

NELL’INCONTRO L’AD, a sorpresa, ha glissato sul vero oggetto dello scontro, gli esuberi, e ha rimesso al centro della querelle lo scudo penale: «Per noi i termini del contratto non sono stati rispettati e quindi riteniamo che il contratto possa essere legalmente sciolto. Fino a qualche settimana fa lavorare nell’area a caldo non era un crimine. Ora lo è e non è cosa da poco. Inoltre ci era stato assicurato che erano stati fatti gli interventi richiesti dalla magistratura e invece non era stato fatto niente». L’ultimo passaggio è un’allusione precisa all’ordine della procura di Taranto di mettere in sicurezza l’altoforno 2, missione impossibile, o di spegnerlo entro il 13 dicembre.

La posizione spiazza Patuanelli. Il ministro non può assicurare che lo scudo penale sarà rimesso per decreto, perché il veto dell’M5S è stato ammorbidito un po’ ma è tutt’altro che superato. Sindacati e governo rispondono negando che ci siano le condizioni legali per la rescissione ma in questa situazione non solo è impossibile uscire dal vicolo cieco ma anche solo fare chiarezza. Patuanelli sembra visibilmente contrariato dal fatto che Morselli non abbia parlato di licenziamenti, ed è decisamente assurdo: «Dal 12 settembre dicono che ci sono 5mila esuberi e che la produzione non potrà mai andare oltre i 4 milioni di tonnellate e ora dicono che tutto è legato allo scudo. Si mettano d’accordo con se stessi». Ha ragione ma se il governo smettesse di facilitare a Mittal il gioco, varando il decreto e sgombrando così il campo, fare chiarezza sarebbe decisamente più facile.

AL CONTRARIO, MITTAL e governo sono impegnati in una pantomima all’insegna della peggiore ambiguità. La multinazionale, che ha tutte le intenzioni di levare le tende per motivi che con lo scudo non hanno niente a che fare, ha però gioco facile nel nascondersi dietro quell’alibi. Il governo, a propria volta, non può ammettere di non essere in grado di risolvere il nodo dell’impunità per le divisioni della maggioranza e quindi cerca di buttare la palla nel campo avversario.

Accusando la multinazionale di addurre scuse ma senza poterlo dimostrare nell’unico modo efficace: togliendo di mezzo l’alibi.

I sindacati si rendono perfettamente conto della situazione. I commenti, al termine del disastroso incontro, bersagliano Mittal, reclamano il rispetto degli impegni ma «da parte di tutti». Insistono sull’errore commesso offrendo il destro alla multinazionale e chiedono di partecipare al prossimo incontro fra Conte e l’azienda. Probabilmente è il solo modo per impedire che governo e Mittal continuino a nascondersi l’uno dietro l’altro reciprocamente come fanno da giorni.

Il premier, che ha in mano le redini della vicenda, diffonde una nota, assicura che il governo «non consentirà lo spegnimento degli altiforni»ma per il resto riveste solo i panni dell’avvocato, diversi da quelli di un presidente del consiglio alle prese con un problema enorme, e insiste sulla «sede giudiziaria», sul «risarcimento danni». Ma probabilmente lui per primo sa che non sarà un tribunale a far tornare Mittal sui suoi passi. Di Maio, dal canto suo, butta un po’ di benzina sul fuoco: «Continuano a dire che la colpa è dello scudo, ma quella è solo una scusa». Perché non faccia piazza pulita della «scusa» però non lo comunica.

LA VICENDA, CON PIENA corresponsabilità di tutti, è ormai quasi totalmente fuori controllo. Mittal ha comunicato che dal 4 dicembre riterrà di aver esaurito il percorso stabilito nel contratto e passerà la mano all’amministrazione straordinaria. Sarà quest’ultima a doversi occupare dello spegnimento. Il passo fatale potrebbe però essere evitato grazie al ricorso d’urgenza dei commissari. Poi toccherà allo Stato farsi carico, a costi altissimi e tempo limitato, dell’ex Ilva.