Sebbene storditi e confusi, ciò che vediamo è “tutto un equilibrio sopra la follia”. Non poteva andare peggio e non poteva andare meglio: poteva finire solo in questo modo. Purtroppo, sarà la Storia e la Storia della ricchezza delle idee a valutare quanto successo.

A noi il compito di farla nel migliore dei modi (la Storia), almeno per quello che ci è dato di fare. Tra strappi costituzionali inattesi data la figura del Presidente della Repubblica e l’elogio della grigia saggezza, i ministri del governo sono esattamente quello che dovevano essere: alcune brave persone; alcune con qualche competenza particolare, altre un poco indigeste; altre ancora esecutori dello Stato o meglio ancora delle Istituzioni del Capitale (senza l’intento di denigrarle perché un economista non denigra mai le istituzioni).

Abbiamo avuto anche l’elogio all’inutilità del Recovery Fund fatto con Excel; si denunciava la sua inadeguatezza finanziaria e la sua aleatorietà di alcuni sedicenti intellettuali, quest’ultimi non meno pericolosi se non speculari ai “poteri forti”.

Non doveva finire in questo modo e tutti quanti siamo coinvolti. Highlander diventa un po’ la narrazione della postmodernità: ne rimarrà soltanto uno! Poi ancora uno e poi ancora uno! La storia recente del governo è fatta da “Uno” che di volta in volta diventa sempre più Uno.

Sebbene amara e frustrante, l’arte della politica dobbiamo pur recuperarla. Si potrebbe “desistere” dalla fiducia e fare politica delle idee con dei suggerimenti rispetto alle grandi questioni del nostro tempo. Non mancano i problemi, così come non dovrebbero mancare le giuste proposte per “costringere” il governo dell’Uno a riflettere.

Innanzitutto, occorre consegnare al governo e al Paese una narrazione della Storia recente. La crisi pandemica nel breve periodo è indiscutibilmente una crisi a V (esogena), ma questa si inserisce in un contesto di “squilibri” di struttura (endogeni) che amplificano gli effetti della pandemia dove il capitale ha modificato gli equilibri: il mercato del lavoro, delle merci e della finanza.

Dobbiamo pur ricordare a Uno che i vituperati strumenti di assistenza e sostegno al lavoro tradizionale hanno funzionato come dovevano.

Abbiamo avuto un po’ di alti e bassi, ma il sistema tradizionale ha tenuto. La pandemia ha esasperato le vittime delle riforme legate all’Austerità Espansiva; la polarizzazione del reddito, l’aumento della povertà, la disconnessione che tutti denunciano non hanno la radice nella pandemia, piuttosto nell’alfa e l’omega delle politiche del così detto “sentiero stretto”. Sono stati persi 600.000 posti di lavoro a tempo determinato e poco meno di lavoro indipendente? Uno può cambiare le regole del mercato primario, oppure può far pagare al sistema economico l’eccesso di flessibilità. Moglie ubriaca e botte piena in natura non esistono (A. B. Atkinson).

Può essere una riforma a costo zero? Uno deve pur dire qualcosa e farsi qualche domanda rispetto all’opportunità o meno di aumentare le tasse. Per capirci io sono per aumentare la pressione fiscale dove è necessario, cioè nel decile più alto del reddito e dei patrimoni.

C’è poi l’annosa questione del green deal. Sussidi? Agevolazioni? Forse Uno non conosce Riccardo Lombardi, ma suggerisco a Uno una interpretazione: un nuovo paradigma tecno-economico deve fare i conti con la necessità di “cambiare il motore della macchina senza fermarla” (Està, 2020).

Per strada troviamo anche l’evergreen politica industriale. Le strade che si possono prendere sono più di una, ma preso atto del fallimento dei finanziamenti pubblici alle imprese private, che usano questi soldi come un bancomat, possiamo immaginare di industrializzare la ricerca pubblica nei settori essenziali del Paese, come in qualche modo suggeriva il PNRR di Conte? Lasciamo al mercato la transizione?

Tra sedicenti intellettuali e spregiudicati highlander preferiamo la discussione e le idee.

Draghi potrebbe essere l’Uno con la coorte di Ministri, oppure costretto a misurarsi con la “fiducia nelle idee (…) e la nostalgia del buon governo nel quale in fondo s’indentifica quel tanto di socialismo realizzabile nel capitalismo conflittuale” (Federico Caffè).