«Oggi i giornali sono pieni di retroscena su accordi segreti tra noi e i 5 Stelle. Qualcuno già ipotizza che io possa votare la fiducia a Fico premier. E perché non Toninelli premier allora? O Di Battista? Sono ragazzi così preparati e competenti… Dai, ragazzi, non scherziamo. Io non faccio accordicchi segreti, io parlo con interviste, con interventi, con post». Di buon mattino Matteo Renzi smentisce i retroscena di stampa che raccontano di un amo lanciato nelle acque in tempesta dei 5 stelle. Un accordo – di «inciucio» parlerà Salvini, altrettanto avrebbero fatto a parti rovesciate gli ex alleati grillini – ieri smentito, ma che poi i molti che gli chiedevano ieri si sono sentiti descrivere in un’altra proposta: un «governo di transizione», insomma istituzionale, di garanzia, repubblicano da Forza italia a Leu. Le disponibilità sarebbero già state verificate. «La priorità è evitare l’aumento dell’Iva, per farlo siamo disposti a parlare con tutti per poi tornare alle elezioni», spiega Luigi Marrattin al Tg2.

LA PROPOSTA È UN AMO o meglio una vera zattera di salvataggio che i grillini vogliono acciuffare per sopravvivere al naufragio. Se in mattinata Di Maio si precipita a definire «una bufala» la trattativa segreta con Renzi, nel pomeriggio Beppe Grillo lo smentisce con un post che, con toni oscuri e imbarazzati, va nel senso proprio del dialogo per salvare «il paese dal restyling in grigioverde dell’establishment, che lo sta avvolgendo!».

DA DOMANI LA PAROLA passa al parlamento. Dove è ormai evidente che non sarebbe difficile trovare una maggioranza per il governo «di transizione». Nel migliore dei casi «per non consegnare il paese ai sovranisti», in altri per non rinunciare subito al seggio e portare a casa il più pasticciato dei tagli ai parlamentari (è la condizione dei 5 stelle). Con il rischio di scaricare dalle spalle della Lega una manovra che si annuncia fra le più pesanti della storia del paese. Intanto Salvini fa sapere che se si tratta di un governo per andare al voto, lui è felice di lasciare il Viminale: «L’importante è che le elezioni ci siano, poi se le gestisce qualcun altro sono anche più contento, che ho più tempo».

MA SE SI TRATTASSE di una «transizione» più lunga, per Salvini sarebbe un altro vantaggio: si troverebbe servito su piatto d’argento il grido di battaglia della campagna elettorale, qualsiasi sia la data del voto. Ha cominciato già ieri: «Sento Grillo e Renzi e inorridisco al pensiero di un governo tra loro. Siamo seri, l’Italia ha bisogno di certezze, fermezza, chiarezza e tanti sì».

INTANTO, NEANCHE A DIRLO, il tema di far proseguire la legislatura spacca il Pd, a dispetto delle professioni di unità lanciate a caldo. Nel partito ci sono due linee, quasi tre. La prima è quella del segretario, «la strada maestra è il voto». La seconda è quella di Renzi. La terza, variante raffinata della seconda, è quella di Dario Franceschini, che da tempo chiede il dialogo con i 5 stelle «sui valori costituzionali» (fin qui quasi linciato dai renziani). Strada non facile, dopo il sì grillino ai due decreti sicurezza. Ma l’ex ministro avrebbe preferito che l’onere della proposta spettasse ai 5 stelle. Con lui si schiera anche Enrico Letta: «Noto una certa sindrome di Stoccolma nei confronti di Salvini», «la nostra è una Repubblica parlamentare. Non è un partito che decide il voto».

ZINGARETTI STAVOLTA sembra proprio solo. Il rischio è che ancora una volta i gruppi parlamentari gli sfuggano dal controllo.

MA I SUOI INVITANO ALLA CALMA, ricapitolando la situazione surreale in cui è finito il Pd dopo che i renziani dell’hashtag «#senzadime» rilanciato a valanga sulla rete ogni volta che un dem solo nominava i 5 stelle, si sono fulmineamente trasformati in pasdaràn dell’accordo con i grillini, anche se non solo. «La linea mai coi 5Stelle è stata decisa e votata quindici giorni fa dalla direzione nazionale del Pd quando si è discusso dell’ordine del giorno Calenda. E con il pressing dei renziani, per sbarrare porte a qualsiasi dialogo con 5 stelle. Erano solo quindici giorni fa» spiega un deputato a lui vicino.

GLI EQUILIBRI NEI GRUPPI parlamentari potrebbero diventare determinanti. Ma i zingarettiani avrebbero verificato che al senato solo venti dem seguirebbero Renzi all’eventuale tavolo. Renzi invece assicura che dai berlusconiani a quelli della sinistra gli arrivano messaggi che lo incitano ad andare avanti. E in effetti Giuliano Pisapia, europarlamentare, tifa «governo di transizione».

ANCHE PERCHÉ A BRUXELLES circola la preoccupazione per il prossimo autunno in cui dovrebbe consumarsi la Brexit, la procedura di infrazione per la Polonia e, nel caso, anche il voto italiano con il blocco sovranista e filoputiniano pronto a stravincere.

EPPURE UN GOVERNO del genere rischierebbe di fare da assist alla campagna elettorale salviniana. I zingarettiani buttano secchiate d’acqua su queste ipotesi: «Vedrete, Mattarella dovrà chiamare le consultazioni, la delegazione sarà guidata da Zingaretti, e Zingaretti al capo dello stato dirà che non ci sono le condizioni, bisogna andare al voto in maniera ordinata».

POI NEL PD SI APRIRÀ la partita del «frontman». Zingaretti fa filtrare l’ipotesi di Gentiloni, l’ex premier che però non ha raccolto eccessivi entusiasmi. Difficile che la scelta venga fatta con le primarie, ha spiegato il vicesegretario Andrea Orlando. Il sindaco di Milano Beppe Sala si scalda a bordo campo.