Si comprenderà meglio durante questa settimana se quella di papa Francesco, oltre a essere una «rivoluzione» delle parole, dello stile e degli atteggiamenti pastorali – che hanno indubbiamente abbandonato i toni da crociata per imboccare una via meno rigida e più accogliente, senza tuttavia abbandonare il sentiero dei «principi non negoziabili» – sarà anche una riforma delle strutture e dell’istituzione ecclesiastica.

È cominciata ieri, infatti, la riunione riservata del consiglio degli otto cardinali, nominata dal papa a metà aprile, «con il compito di aiutarmi nel governo della Chiesa universale – scrive Bergoglio nel chirografo (un atto redatto di suo pugno) che ha istituito la commissione – e di studiare un progetto di revisione della Costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia romana».

Proprio dal lavoro della commissione sarà possibile capire in quale direzione andrà il pontificato di Bergoglio che, va ricordato, oltre all’immagine del «pastore» che dà continuamente di sé, è il sommo pontefice della Chiesa cattolica. Quindi anche, o soprattutto, uomo di governo, che va considerato e giudicato come tale.
Su questo argomento, nella lunga conversazione con Eugenio Scalfari pubblicata ieri da Repubblica, Bergoglio è stato esplicito: «La corte è la lebbra del papato». Tuttavia chiarendo che «in Curia ci sono talvolta dei cortigiani, ma la Curia nel suo complesso è un’altra cosa», anche se «ha un difetto: è Vaticano-centrica. Vede e cura gli interessi del Vaticano, che sono ancora, in gran parte, interessi temporali. Questa visione Vaticano-centrica trascura il mondo che ci circonda. Non condivido questa visione e farò di tutto per cambiarla. La Chiesa è o deve tornare ad essere una comunità del popolo di Dio». Se venisse messo in atto quello che il papa ha detto a Scalfari, l’istituzione ecclesiastica ne risulterebbe stravolta. E proprio per questo allora, senza fermarsi alle parole, occorre attendere le azioni di governo di un pontificato ancora difficile da prevedere.

I cardinali del consiglio per questo loro primo incontro – improbabile quindi che possano arrivare subito rivoluzioni copernicane, ma si capirà l’orbita – lavoreranno fino a domani. Tre giorni per analizzare e discutere circa 80 documenti arrivati dai dicasteri vaticani e dalle Conferenze episcopali. Sul tavolo due grandi temi: la riforma della Curia – quindi dei «ministeri» vaticani – e soprattutto il «governo della Chiesa universale», con punti all’ordine del giorno come la collegialità, le relazioni tra governo centrale e conferenze episcopali, gli organismi sinodali (la parola che nel linguaggio ecclesiastico sostituisce «democrazia», che non è prevista). E poi una serie di questioni sensibili, sfiorate da Bergoglio nei suoi interventi, ma fino a ora «non negoziabili» per la dottrina: divorziati, donne, omosessuali. Da come verranno – o non verranno – affrontati si capirà tutto. «Ma non si dica che si tratta di un governo collegiale, questo è solo un consiglio a cui può essere richiesto un parere», ha chiarito p. Lombardi, direttore della sala stampa vaticana. E forse proprio questo è il punto, perché per affrontare alcuni nodi più che un consiglio di cardinali sarebbe necessario un Concilio (dalla base e dai teologi, sia in Europa che in America, arrivano molte richieste in tal senso: l’agenzia Adista ne pubblica un’ampia rassegna), come chiedeva anni fa il card. Martini, peraltro evocato dallo stesso Bergoglio nell’intervista a Scalfari: quando «ne parlava mettendo l’accento sui Concili e sui Sinodi sapeva benissimo come fosse lunga e difficile la strada da percorrere».

In direzione della trasparenza va la pubblicazione del bilancio e del rapporto annuale 2012 dello Ior leggibile sul nuovo on line sito internet www.ior.va. Nei 71 anni di storia della banca vaticana (fondata nel 1942) non era mai accaduto. Ad aver influito su questa decisione, più che papa Francesco – che pure ha avuto il suo peso – è stato soprattutto Moneyval, l’organismo del Consiglio d’Europa che entro l’anno stabilirà se ammettere o no il Vaticano nella white list dei Paesi virtuosi in materia di antiriciclaggio (finora il Vaticano è stato giudicato «non conforme o parzialmente conforme» in 23 punti su 45). Tanto più che le vicende degli ultimi anni – il caso Gotti Tedeschi, le inchieste giudiziarie, l’arresto per riciclaggio di mons. Scarano titolare di diversi conti allo Ior – sembrano aver fatto ripiombare la banca del papa ai tempi di Marcinkus. Dal rapporto risulta che nel 2012 lo Ior ha avuto un utile netto di oltre 86 milioni di euro (di cui 55 girati alla Santa sede e 31 accantonati nel patrimonio che ha raggiunto la cifra di 796 milioni), quattro volte quello del 2011, frutto sia degli interessi attivi sui 18.900 correntisti – che hanno affidato all’istituto beni per 6 miliardi e 320milioni euro – sia degli investimenti finanziari effettuati per lo più sul mercato obbligazionario.

E fra i numeri di interessi e conti, riecheggiano le parole pronunciate prima del conclave che ha eletto Bergoglio dal cardinale africano Onaiyekan: «Lo Ior non è essenziale al ministero del papa, non credo che san Pietro avesse una banca. Lo Ior non è fondamentale, non è sacramentale, non è dogmatico».