Senatore Miguel Gotor, dice il suo segretario che voi della minoranza Pd siete «una sinistra masochista che vuole sempre perdere». Vuole sempre perdere?

Ma no, Renzi è nervoso, sarà la campagna elettorale. Preferirei che attaccasse la destra, anziché la sinistra. Vorrei ricordargli che in Italia negli ultimi vent’anni il centrosinistra ha vinto per tre volte le elezioni. E lo ha fatto in un’idea di alternativa alla destra. Sarebbe bene continuare così.

Renzi replicherebbe: la terza volta è quella del 2013, quando Bersani ha «non vinto».

Renzi sta governando con quel risultato. E quando noi arriveremo alla fine della legislatura, come sosteniamo ogni giorno, in forza del risultato del 2013 il Pd avrà governato per cinque anni e svolto una funzione di perno del sistema politico. I fatti, quelli che contano più della propaganda, parleranno da soli.

Renzi dice: «Non è che se nel Pd non ci sono D’Alema e Bersani non c’è la sinistra». E ancora: «Se Fassina se ne va è un problema suo». Vi sta invitando a togliere il disturbo?

Renzi è in difficoltà ed emerge il lato arrogante. L’uscita di una personalità come Fassina dal Pd non sarebbe una questione personale ma di tutto il Pd, e lui come segretario dovrebbe affrontarla.

Se si porrà il tema di nuovi addii, come li affronterete? La discussione sulle dimissioni del capogruppo alla camera Speranza, per esempio, avvenute un mese fa, è stata ancora rimandata a dopo il voto.

Evidentemente nel variegato mondo del renzismo sotto il tappeto ci sono più problemi di quello che viene raccontato.

Ma la minoranza porrà il problema della diaspora?

Siamo in campagna elettorale e Renzi gioca sempre lo stesso schema: ha bisogno di creare un nemico interno, che gli serve per essere appetibile a destra. Ma al di là dei suoi schemi ci sono le questioni di merito: noi al senato abbiamo tenuto comportamenti coerenti su dei passaggi chiave. 24 senatori Pd non hanno votato l’Italicum. Non siamo una corrente, abbiamo sensibilità diverse e questa eterogeneità è stata la nostra forza. Quando arriverà la riforma del senato continueremo con coerenza a invitare il segretario a lavorare all’unità del Pd. Abbiamo delle proposte, su queste ci concentreremo.

Le dica.

Come noto c’è un rapporto fra riforma elettorale e quella del senato. L’Italicum doveva cambiare in punti qualificanti e invece non è cambiato: è stato un errore anche perché si è ridotta la base politica a sostegno delle riforme. E quindi, proprio a partire dai difetti dell’Italicum, la riforma del senato dovrà cambiare soprattutto in due direzioni. Se l’Italicum ci consegna una sola camera politica a maggioranza di nominati, il senato dovrà essere composto da eletti dai cittadini, contestualmente alle regionali. Secondo punto: con l’Italicum abbiamo indirettamente cambiato la forma di governo in un premierato elettivo di fatto senza sufficienti contrappesi. Per un giusto equilibrio istituzionale il senato dunque dovrà avere poteri di controllo, di vigilanza e di garanzia. Sul piano delle norme è possibile farlo, sempreché ci sia la volontà politica.

Ritiene che si possa tornare anche sull’elezione diretta dei senatori? Alcuni autorevoli costituzionalisti dicono di no.

Lo so, ma sto alle regole: tutto ciò che non è identico si può cambiare. Sull’elettività ad esempio i testi non sono identici, quindi si può intervenire.Ripeto: dipende da una volontà politica.

Quanto alla volontà politica, sul ritorno al senato elettivo l’ultima parola di Renzi è stato un no.

Su questo Renzi ha posizioni ondivaghe. Nel giro di un mese ha detto una cosa e il suo contrario. Siamo sotto elezioni, aspettiamo che il boccino della propaganda si fermi. Ma resta un punto: è bene che le riforme si realizzino a partire dall’unità del Pd. Ed io credo che sia anche necessario.
Potrebbe nascere un gruppo di responsabili ex forzisti. E i vostri voti potrebbero non essere più indispensabili. L’alternativa sarebbe una sostituzione dei senatori del Pd con il nucleo toscano e verdiniano del patto del Nazareno e con qualche fuoriuscito qui e lì? Io non credo che sia una soluzione auspicabile. E comunque gli italiani sapranno valutarla con serenità.

In quel caso lei che farebbe?

Stiamo parlando di cosa farà il parlamento. Il parlamento parlerà con i voti.

Nel caso la riforma non passasse, per Renzi c’è il voto anticipato.

Il voto è una minaccia che non funziona: nel caso non ci sarebbe ancora la legge elettorale. Insomma, non è un’ipotesi. E comunque non sto a un film in cui oggi mi si chiede una valutazione su una cosa che forse avverrà il 7 agosto, o in autunno. Ci sono tre mesi, in politica un tempo lunghissimo, vediamo che succede.

Usciranno altri suoi compagni della minoranza. Lei ci sta pensando?

No, sono convinto che soprattutto nel nuovo sistema che si va realizzando sia più utile una sinistra riformista dentro il partito democratico. È sia più utile restando nel Pd per opporsi a ciò che il Pd sta diventando.

Cos’è diventato il Pd? Il suo segretario dice che a sostegno del candidato del Pd campano ci sono nomi «impresentabili» che lui stesso non voterebbe. Sono fan di Mussolini, uomini di Nicola Cosentino. È normale che voi candidiate gente che voi stessi non votereste?

Assolutamente no. Non dovrebbero esserci le condizioni politiche perché un segretario dica cose di questo genere parlando di un candidato che lo ha sostenuto a congresso portandogli il 70 per cento dei voti. E questo è un indizio di quello che stiamo diventando. Ma per evitarlo bisogna dare battaglia politica dentro il Pd.

Se lei votasse in Campania voterebbe De Luca e i suoi impresentabili?

Per fortuna non mi trovo in questa condizione.