Ieri la Rajiya Sabha, la camera alta del parlamento federale indiano, ha approvato la proposta di legge avanzata dal governo che prevede lo smembramento dello stato del Jammu e Kashmir in due union territories direttamente amministrati da New Delhi.

Si tratta dell’evento politico più rilevante degli ultimi trent’anni per il Kashmir, regione a statuto speciale della Repubblica indiana fin dal 1949 in virtù dell’articolo 370 della Costituzione, inserito ad hoc a due anni dall’Indipendenza.

Approfittando dello stallo legislativo del Jammu e Kashmir, commissariato da oltre un anno, il Bharatiya Janata Party (Bjp) del primo ministro Narendra Modi è riuscito a modificare l’articolo 370 con un decreto presidenziale, senza dover sottoporre la decisione all’assemblea parlamentare kashmira, di fatto imponendo dall’alto una svolta storica e assolutamente indigesta per la maggioranza degli abitanti del Kashmir.

Unico stato a maggioranza musulmana in India, presto sarà declassato a due union territories, Ladakh e Jammu e Kashmir, inferendo un colpo probabilmente fatale alle pulsioni di indipendentismo che interessano la regione da oltre 70 anni.

Un golpe politico che non ha precedenti nella storia indiana e che secondo diversi osservatori sarebbe anticostituzionale. Dettaglio su cui, con ogni probabilità, la Corte Suprema sarà presto chiamata a esprimersi.

Nei giorni precedenti il governo federale aveva alzato praticamente dal nulla il livello di tensione nella regione, imponendo una serie di misure eccezionali e sospette. Dallo scorso fine settimana è entrato in vigore nella regione il divieto di assembramento, turisti e pellegrini sono stati fatti evacuare, i servizi telefonici e internet sono stati sospesi e quasi 40mila soldati si sono aggiunti a una presenza militare già pesantissima. Si parla di stime tra i 500mila e i 700mila soldati, condizione che fa del Kashmir la regione più militarizzata del pianeta Terra.

Inoltre, domenica sera sono scattati gli arresti domiciliari preventivi per tutti i principali leader politici kashmiri: non solo della Hurriyat, organizzazione ombrello del separatismo kashmiro, ma anche di partiti «mainstream» come il National Conference di Omar Abdullah e il Peoples Democratic Party di Mehbooba Mufti, già chief minister del Jammu e Kashmir in coalizione proprio con il Bjp.

Silenziati tutti i principali interlocutori politici e fatta calare nuovamente sul Kashmir una legge marziale di fatto – da anni la normalità per milioni di kashmiri – il Bjp ha raggiunto uno degli obiettivi elettorali del 2014: liberarsi dell’articolo 370 e fare del Kashmir uno stato come gli altri. Anzi, nemmeno più uno stato. Smembrare il Kashmir declassandolo a duplice colonia di New Delhi. Un passaggio che ora apre scenari inediti nella regione.

Le opposizioni, dall’aula parlamentare, hanno parlato di «omicidio della democrazia indiana» e chiusura dell’ultimo spiraglio di risoluzione democratica della «questione kashmira». Contrariamente a quanto consigliato da una risoluzione Onu del 1948, l’India non ha mai concesso alla popolazione kashmira un plebiscito per decidere del proprio futuro, conteso da India e Pakistan, alimentando sentimenti anti-indiani sfociati dagli anni Novanta nella lotta armata.

Decaduto l’articolo 370, che aveva garantito finora il divieto di acquistare terreni per i non-kashmiri, la popolazione locale teme l’inizio di un’ondata di hinduizzazione della regione. Il Kashmir non sarà mai più lo stesso. L’India come la abbiamo conosciuta, nemmeno.