Nella notte di venerdì, mentre i carri armati circondavano l’aeroporto Ataturk a Istanbul e i caccia volavano sui cieli turchi, tra i più preoccupati dalla possibile escalation c’erano i cittadini kurdi. Impossibile vedere in un’eventuale golpe militare la strada verso la liberazione dal giogo imposto dal nazionalismo autoritario del presidente Erdogan: dopo i golpe del 1971 e del 1980 la sinistra turca e le ambizioni autonomiste kurde sono state le prime ad essere calpestate e soffocate.

Si spiega (anche) così la pronta reazione dell’Hdp, il Partito Democratico dei Popoli, fazione di sinistra pro-kurda subito schierata contro i golpisti nonostante sia da tempo nel mirino della repressione del governo targato Akp. A tentativo fallito, il co-segretario Demirtas ha tenuto a sottolineare che mai il suo partito legittimerà un golpe, che sia quello militare accennato lo scorso venerdì notte o «quello di successo realizzato da Erdogan dopo le elezioni di giugno 2015» quando boicottò apertamente la formazione di un esecutivo di coalizione per trascinare il paese – tra attentati e campagne militari anti-Pkk – alle elezioni anticipate.

Oggi i kurdi restano in attesa, seguono cosa sta accadendo e aspettano. Nel caos turco degli ultimi giorni in un angolo, osservatore silente e preoccupato, c’è un popolo vittima di un anno di campagna militare altrettanto silenziosa: così Ari Murad, regista e giornalista kurdo-iracheno, che da anni segue e vive in prima persona il pugno di ferro dell’Akp contro il sud-est del paese, riassume i sentimenti che primeggiano tra i kurdi di Turchia: «I kurdi non vedranno migliorare le proprie condizioni né con un golpe fallito né con uno di successo – spiega Murad al manifesto – Solo all’apparenza si è trattato di uno scontro tra islamisti e nazionalisti perché entrambi sono profondamente ostili all’autonomia kurda. Per questo il popolo kurdo è in attesa, osserva e aspetta».

«Di certo Erdogan radicalizzerà il proprio potere dopo il tentato colpo di Stato, una realtà scontata che si tradurrà in un regime ancora più autocratico anche nei confronti della questione kurda. Ma, riguardo alla campagna militare, quella è terminata. Per una ragione banale: tutte le principali città kurde sono state già distrutte, la maggior parte dei cittadini kurdi ha perso ogni speranza. Resta ben poco da devastare».

Tra queste c’è l’Hdp, partito pro-kurdo che ha subito arresti indiscriminati di suoi sostenitori, sindaci e membri e, recentemente, una legge che toglie l’immunità ai parlamentari, primo passo verso processi per propaganda terroristica: «L’Hdp si è schierato contro il colpo di Stato come altre fazioni kurde del paese perché è convinto che gli elementi dell’esercito che volevano rovesciare il governo potevano essere molto più pericolosi – aggiunge Murad – È stato costretto a difendere un governo civile di autocrazia militare che da tempo lo reprime e che continuerà a farlo in questa ondata di generale “pulizia” contro chiunque sia tacciato di essere un elemento destabilizzante».

Tra i destabilizzatori ci sono elementi dell’esercito di cui Erdogan si sta liberando con epurazioni di massa, «una vera e propria lista di “indesiderabili” che ha in mano da molti anni ma che non aveva mai usato perché mancava una giustificazione alla purga. Così oggi assistiamo a violazioni proprio contro quel corpo, l’esercito turco, responsabile degli stessi abusi e le stesse atrocità contro i kurdi».

Ad alcuni è apparso strano che il tentato golpe militare si sia realizzato in un periodo di vicinanza di intenti tra il governo e l’esercito, caratterizzato dalla fine definitiva del processo di pace con il Pkk e la ripresa di una brutale campagna militare: «Da quando l’Akp ha preso il potere, Erdogan ha subito avuto come obiettivo l’asservimento dell’esercito che nella storia della Turchia è sempre stato ampiamente autonomo. Nel 2003, un anno dopo la nomina a primo ministro, Erdogan ha rispedito agli Usa la richiesta di unirsi all’invasione dell’Iraq: per la prima volta in Turchia un governo civile ha preso una decisione scavalcando l’esercito. Questo golpe è stato, quindi, l’ultimo tentativo di riprendersi potere decisionale, come nell’era pre-Akp».