L’applauso del cinema Farnese zeppo come un uovo scatta quando una delle voci narranti del film, il giornalista Francesco Luna, tira le somme di quella storia che si è dipanata sotto i nostri occhi poco più di due anni fa ma che sembra già appartenere ad un’altra epoca, un’altra Repubblica, appunto: «La tragedia del Pd nasce da come è stato trattato Ignazio Marino».

Un applauso che già da solo spiega per quale motivo, in controtendenza nell’era di Netflix, bisogna mettere in conto almeno un’ora di fila per vedere (solo a Roma, per il momento) il docu-film di Francesco Cordio Roma. Golpe capitale, prodotto da Alfredo e Lorenzo Borrelli per Own Air.

UN DOCUMENTARIO che rimette in fila gli eventi che fanno da sfondo alla sindacatura di Ignazio Marino, dal momento in cui il Pd di Matteo Renzi, nel 2013, pensò all’allora presidente della commissione Sanità del Senato (che aveva smantellato gli Opg, telecamera al seguito) come il candidato perfetto per sconfiggere il «pericoloso» M5S, a quando, il 30 ottobre 2015, decise di sacrificare il “suo” sindaco davanti a un notaio. Questa volta con la finalità di farli vincere nella Capitale, i grillini, nell’illusione maniacale che così sarebbero stati poi neutralizzati a livello nazionale.

Un boomerang, anche abbastanza prevedibile. E Cordio, che aveva già seguito Marino dentro i manicomi giudiziari, lo intuì subito, e si precipitò a filmare tutto, fin dalle prime scene di quella che già si prefigurava come una tragedia, per il popolo democratico. Il documentario – che arriva nelle sale all’indomani della condanna in Appello di Marino per la questione scontrini (assolto in primo grado e in attesa della sentenza della Cassazione) – è sicuramente però anche un atto d’accusa contro quel giornalismo mainstream che allora, sul finire del 2015, assecondava i giochi di potere interni al Pd e raccontava al grande pubblico una storia che si allontanava dalla realtà a bordo di una Panda rossa.

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Federica Angeli nel docu-film

Ad ammetterlo in una sorta di mea culpa c’è, in sala, Concita De Gregorio, giornalista di Repubblica. E, dallo schermo, la sua collega Federica Angeli, cronista sotto scorta perché minacciata più volte dalla criminalità organizzata, in particolare ad Ostia, nel municipio romano sciolto per mafia dove ha condotto numerose inchieste.

È LEI CHE RACCONTA con più efficacia la forza dirompente di un sindaco che per la prima volta nella storia recente di Roma decide di opporsi ai clan, di liberare il lungomare, di fare «come nessuno aveva mai fatto, ciò che riteneva giusto, non ciò che gli portava consenso». Un «marziano», appunto, «nel senso di Ennio Flaiano», «un visionario».

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Gian Carlo Caselli nel docu-film

ALTRA VOCE GUIDA del documentario è l’ex procuratore nazionale antimafia Gian Carlo Caselli che, elencando uno ad uno i principali atti pubblici del sindaco, introduce i capitoli narrativi che descrivono «tutti i piedi pestati»: stop agli appalti senza gara; chiusura di Malagrotta, la discarica grande come 350 campi di calcio; cambi al vertice di Ama, la municipalizzata dei rifiuti considerata da Marino «non all’altezza del compito»; regole contro le affissioni abusive; lotta all’abusivismo di Ostia (con Alfonso Sabella a commissariare il municipio); rotazione di zona imposta per la prima volta ai vigili urbani; cartellino imposto per la prima volta ai macchinisti Atac, l’azienda partecipata dei trasporti; stop alla cementificazione dell’agro romano («20 milioni di metri cubi in meno»); chiusura di 15 residence dal costo iperbolico nell’ambito di una riforma delle politiche abitative; pedonalizzazione di via dei Fori imperiali; guerra ai camion bar e agli urtisti; rimpasto nella dirigenza della multiservizi Acea; opposizione alla costruzione del villaggio olimpico a Tor Vergata, «un progetto fortemente voluto da Matteo Renzi».

TANTE DUNQUE le categorie che Marino era riuscito a inimicarsi in pochi mesi, ma una soprattutto: la curia romana, che non ha perdonato a un sindaco che si fregiava di essere molto vicino a Papa Francesco il registro delle unioni civili per coppie lgbt, come le sue aperture sul fine vita e sulla fecondazione assistita. E quando Bergoglio lo ha scaricato, per «il marziano» è stato un brutto colpo, personale prima che politico.

Nel film – godibile, perfino divertente a tratti, dal piglio cinematografico per ritmo, fotografia e musiche, a cominciare dalla canzone che Mannarino compose la notte delle dimissioni poi ritirate del sindaco – Ignazio Marino espone la sua versione dei fatti e racconta i retroscena, sostenuto dai suoi assessori Caudo e Danese, dal capo segreteria Tricarico, dal fondatore del blog Romafaschifo, Tonelli. Il regista però non ne fa un mito: raccoglie e analizza le critiche – quelle serie – descrive i limiti e perfino le ottusità del sindaco.

Ma il punto non è Marino. La sua è solo una “piccola storia ignobile” (prossima proiezione lunedì 26 al Farnese) che porta alle urne del 4 marzo scorso.