«Guarda lì, guarda. Niente» dice il mototassista indicando un viale alberato di Lapa, centro di Rio de Janeiro. Non c’è niente. Non ci sono i festoni verdeoro, le bandiere alle finestre, i graffiti beneauguranti con i faccioni dei [/V_INIZIO]craques della Nazionale brasiliana. Meno di due settimane al mondiale e nella cidade maravilhosa è un giorno piovoso, reso più caotico del solito dallo sciopero illegale degli autisti di autobus. Quattro anni fa, di questi tempi, era il Sudafrica ad aspettare l’allegro circo del calcio mondiale, ma per le strade di Lapa «la bagunça, il macello lo potevi già sentire». Ma soprattutto, vedere: «Era tutto decorato».

Una selva di diti medi

Più o meno nello stesso momento in cui iniziamo a inerpicarci per le stradine scoscese del quartiere bohémienne di Santa Teresa, l’arrivo della seleção a Teresópolis è immortalato in una foto che fa il giro del mondo: una selva di diti medi circonda il pullman di Neymar e compagni. O Globo, il quotidiano più influente, ne pubblicherà il giorno seguente una versione edulcorata, dove invece delle dita si vedono i pugni. Le mani, in ogni caso, appartengono ai professori in sciopero per un aumento salariale. La presidente Rousseff vede in televisione le immagini del pullman accerchiato e decide che a proteggere le 32 delegazioni ci sarà anche l’esercito. A Brasilia un gruppo di nativi brasiliani armati di arco e frecce si incrocia con gli attivisti del Mtst (Movimento trabalhadores sem-teto, lavoratori senzatetto) e insieme marciano in direzione del nuovo stadio – il più scandaloso dei 12 del mondiale – intitolato a Mané Garrincha, la grande ala conosciuta come Alegria do Povo (allegria del popolo). La polizia militare spara gas lacrimogeni.

Le notizie volano dall’altra parte del mondo e nella mente dei tifosi europei ritornano le immagini scioccanti dello scorso giugno: Confederations Cup, 300.000 persone in strada a Rio, 100.000 a Sao Paulo, Belo Horizonte e Manaus, diverse altre migliaia in tutto il paese. Contro l’aumento del biglietto dell’autobus, all’inizio, poi sempre di più contro la Fifa e il governo. «Il gigante si è risvegliato» si diceva allora. «Una modinha, una moda virale» dice un anno dopo Edgar Siqueira del Coletivo Zona Oeste, in lotta contro la costruzione di un campo da golf olimpico in un’area protetta.

Ad aprile la galassia dei movimenti sociali di Rio si è riunita nell’aula magna dell’Università Federale per decidere come muoversi nel mese del mondiale. Sono presenti vari comitati popolari nati spontaneamente come reazione ai grandi eventi, ma ci sono anche i sindacati di base, qualche piccolo partito della sinistra, gruppi femministi, anarchici, ultras e prostitute (che hanno manifestato il 2 giugno a Copacabana: «Vi aspettiamo – dicevano – ma per favore non gridate “vaffanculo” o “figlio di puttana”»). Gli sforzi si concentreranno nei giorni di apertura (12 giugno) e chiusura (13 luglio). Il clima è serio, la coppa è un’occasione d’oro per far valere rivendicazioni antiche: demilitarizzazione della polizia, servizi pubblici nelle favelas, lotta allo sfruttamento sessuale. Quando gli parli, però, ti rendi conto che alla prospettiva di una nuova grande sommossa, con la gente che, come in giugno, scenda in strada a frotte «per fare la storia», non ci credono. Chi c’era prima che la protesta diventasse virale, è rimasto. Gli altri, i “senza partito”, tra cui – secondo Francilene del movimento Favela Não se Cala – molti fascisti, non ci saranno.

Più che rabbia, indifferenza

Come ogni settimana, anche oggi le poche centinaia di manifestanti anti-coppa, perlopiù ragazzi borghesi, ronzano per le vie del centro di Rio inseguiti da nugoli di fotografi eccitati e poliziotti in assetto di guerra. Al loro passaggio nel traffico bloccato dell’Avenida Presidente Vargas, qualcuno suona il clacson in segno di solidarietà, altri sono incazzati neri. Ma se non fosse per quelle poche centinaia, per i loro cartelli «Fifa go Home» e «Não Vai ter Copa», dell’imminente arrivo del mondiale nel paese del futebol nemmeno te ne accorgeresti.

Strade disadorne, gente indaffarata. Forse ha ragione Yuri Eiras del Frente Nacional dos Torcedores (i tifosi che lottano contro «l’elitizzazione del calcio»), alla fine la coppa è «una festa privata della Fifa alla quale il popolo non è stato invitato». E il popolo risponde con indifferenza, più che con rabbia. Il gigante sembra essersi riaddormentato.

Nel chiedersi se si risveglierà nei giorni del mondiale, sempre più persone indicano nei risultati della seleção la possibile chiave di volta. Se il Brasile comincerà a vincere, la gente si scorderà di tutto e gli attivisti rimarranno soli. Altrimenti… Il nuovo luogo comune, lo frequentano anche i giornalisti carioca, è che per sperare nel cambiamento si deve tifare contro la seleção. Yuri, che si presenta al nostro appuntamento con la maglia Nike della nazionale, non è d’accordo: «Ci hanno già tolto il nostro Maracanã, non mi farò rubare anche la passione». Francilene, che lavora con 14 favelas – pacificate e non – sa che gli abitanti delle comunidades tiferanno per il Brasile come sempre. Suzana Gutierrez del Sepe, il sindacato dei professori, tiferà Brasile e non ce l’ha con i 23 di Felipe Scolari. Accerchiare il pullman della nazionale era il modo migliore per ottenere l’incontro col governatore che il Sepe cercava da settimane.

Le lotte dei lavoratori sono la notizia del giorno, a Rio. I professori si incontrano con gli anti-coppa di fronte al municipio. Una professoressa al megafono: «Accogliamo l’appoggio di questi ragazzi e anche dei black bloc». Questi ultimi si riconoscono nella folla perché hanno il volto coperto e quando vengono nominati ululano. Per il governo sono i professionisti del quebra quebra (spaccatutto), la stampa nazionale li ha messi all’indice sin dallo scorso giugno e con maggiore successo dopo la morte, in febbraio, di un cameraman della rete Bandeirantes, colpito in testa da un razzo artigianale lanciato da due ragazzi, Caio Silva e Fabio Raposo (in realtà due cani sciolti, che si erano appena conosciuti). La polizia li conosce uno a uno, sono stati quasi tutti già fermati almeno una volta. Per i professori servono a garantire protezione contro la polizia «più violenta del mondo». Oggi hanno deciso di non ingaggiare lo scontro.
Di fronte al municipio ci sono anche i rodoviários, autotrasportatori e autisti di autobus. O meglio la parte di loro che non si riconosce nel sindacato, il Sintralurb, che una settimana fa ha negoziato un aumento salariale del 10%. Le lotte dei lavoratori brasiliani si nutrono della rabbia per i costi assurdi e scandalosi delle opere del mondiale, fiumi di denaro pubblico spesi per stadi che non sono ancora finiti e per costruire i quali sono già morti otto operai.

La timidezza del sindacato 

Le agitazioni sindacali sono comunque frequenti in prossimità dei grandi eventi. I non molti rodoviários presenti hanno fiutato l’opportunità, ispirati dalle lotte degli steward sudafricani nel 2010 e degli autisti di autobus londinesi poco prima delle olimpiadi del 2012. E dallo spettacolare sciopero dei garis, gli spazzini, dopo l’ultima notte di carnevale, quando Rio si era risvegliata sepolta da una montagna di rifiuti. Alla fine avevano ottenuto un aumento del 37% sul proprio salario, passando a guadagnare 1.100 reais mensili (circa 360 euro), appena sotto lo stipendio medio brasiliano. Anche in quel caso la lotta era stata guidata da gruppi dissidenti. La timidezza delle grandi centrali sindacali, ammansite dall’accesso al potere garantito dall’avvento del Lulismo, cozza col momento propizio offerto ai lavoratori dall’assegnazione dei grandi eventi. Ma la strada non è agevole.

Sui giornali mainstream fa notizia la raccolta firme lanciata da un sociologo conservatore, Simon Schwartzman, in cui si dice che bisogna garantire il diritto di ir e vir, andare e venire, che le lotte dei lavoratori «non possono coinvolgere l’intera società». I vari tribunali regionali puniscono duramente gli scioperi illegali. A Brasilia l’Avvocatura generale dello Stato ottiene la confisca di 1,1 milioni di reais dai conti delle associazioni accusate di aver istigato lo sciopero della Policia Militare dello Stato di Pernambuco. Gli scioperi della polizia, vietati dalla costituzione, sono un pericolo micidiale per la buona riuscita della coppa. Dilma aveva messo in preallarme l’esercito già prima della contestazione alla nazionale. Oggi si è finalmente decisa.

ell’incassare l’appoggio del Partito Progressista (Pp) alla sua rielezione, la presidente afferma inoltre – con ritrovato orgoglio – che non esiste nessun Padrone Fifa. Che la coppa è del Brasile, che tutto è stato fatto nell’interesse della nazione.
Il mototaxi ferma la sua corsa a Largo do Guimarães, di fronte al vecchio murale che celebra le 5 vittorie della seleção ai mondiali. Manca la sesta, la più importante, che cancellerebbe per sempre la tragedia della sconfitta in casa del 1950. Un intero popolo di appassionati potrebbe spingere la nazionale all’impresa. O il paese al cambiamento. O forse tutte le due cose. Il gigante ancora dorme, di un sonno leggero ma dorme.