C’erano stati vari momenti nella vita di Goethe nei quali lo scrittore aveva avuto modo di ripensare se stesso e il proprio lavoro. Prima di tutto in occasioni della raccolta e della pubblicazione delle opere, dall’edizione in otto volumi del 1786 per Göschen a quella in tredici tra il 1806 e il 1808 per Cotta, fino alla seconda edizione Cotta in venti volumi (tra il 1815 e il 1819). Erano stati tentativi diversi nella forma e nell’intensità dell’impegno, ma tutti rispondevano allo stesso bisogno di fare ordine tra le carte, di spiegare vuoti e sospensioni, di capire le ragioni non solo personali di tante opere non finite e, soprattutto, di pensarsi in relazione al proprio tempo.

Che cosa sia stata per Goethe l’interrogazione di sé e il racconto della propria vita lo dimostra il fatto che, nell’edizione completa autorizzata dall’autore cosiddetta letzter Hand (40 volumi), gli scritti che a vario titolo possiamo definire autobiografici occupano quasi la metà. Scritti che alla fine risultano davvero quasi l’elemento unificante dell’intera produzione letteraria e scientifica, nonché una parte cospicua del percorso di costruzione del ruolo di massimo scrittore tedesco.

Di questi scritti autobiografici il volume che ci sta davanti Dalla mia vita Poesia e verità, Einaudi «I Millenni», a cura di Enrico Ganni e con l’introduzione di Klaus-Detlef Müller (pp. LIX-758, euro 85,00), costituisce senz’altro la parte più importante e più nota, uno straordinario esempio di moderna autobiografia e, si può ben dire, un documento della raggiunta consapevolezza dell’individuo borghese dentro una realtà ancora fortemente assolutista.

L’occasione decisiva per aprire quello che sarebbe poi diventato un ininterrotto confronto con la propria vita gli venne senza dubbio dagli eventi legati alla battaglia di Jena, al saccheggio di Weimar da parte dei francesi e al definitivo crollo del Sacro Romano Impero nel 1806. Fu davvero quello il momento in cui lo scrittore capì di appartenere ad un’epoca storica definitivamente conclusa, avvertì in tutte le sue conseguenze il cambiamento che aveva investito la cultura tedesca ed europea e sentì ampliarsi il fossato che lo divideva dall’avanzante romanticismo. Si aprì così, attorno al 1809, un vasto cantiere destinato a restare sempre aperto e a contenere opere anche molto diverse, quali ad esempio la Campagne in Frankreich o la Italienische Reise. Organizzata in quattro parti e venti libri quest’opera che è, ripetiamo, la più importante degli scritti autobiografici, vide la luce in tempi e forme diversi (le prime tre parti dal 1811 al 1814), per essere poi pubblicata nella sua interezza soltanto dopo la morte di Goethe.

Dalla mia vita. Poesia e verità non fu però una risposta ai fatti che tanto avevano scosso l’intellettualità tedesca e lo stesso Goethe. Perché, se il trauma di allora era stato fortissimo, la reazione dello scrittore, come è ben noto alla ricerca e come da noi ha magistralmente dimostrato Giuliano Baioni (Classicismo e rivoluzione. Guida 1969), fu in qualche modo differita, traslata e disseminata in una serie di scritti e di opere anche molto diverse, nelle quali si dispiegava il programma etico ed estetico che va sotto il nome di classicismo, nelle sue linee essenziali già elaborato fino dai primi anni dell’amicizia con Schiller. Furono anni in ogni senso fecondi durante i quali apparvero il primo Faust, la Farbenlehre e il capolavoro narrativo delle Affinità elettive e cominciò a prendere corpo, appunto, la grande opera autobiografica dal titolo Aus meinem Leben. Dichtung und Wahrheit.

Il volume einaudiano ci restituisce quest’opera, in realtà un po’ dimenticata, con una nuova traduzione italiana e un accurato e dettagliato commento; in essa sono raccontati i fatti della vita di Goethe dalla nascita fino alla vigilia del trasferimento a Weimar nel 1775. È inoltre opportuno sottolineare che in questa nuova edizione viene ripristinata la disposizione del titolo tedesco, contro una lunga tradizione italiana che ha visto sempre privilegiata la seconda parte dello stesso titolo, per cui da noi l’opera è stata per lo più nota, come probabilmente lo sarà ancora, come Poesia e verità.

Nella premessa al volume si manifestano subito tutta l’ampiezza e la complessità del discorso autobiografico e quasi l’imbarazzo dell’ormai sessantenne autore di fronte al compito di una rappresentazione ormai indifferibile della propria vita e della propria opera. La lettera fittizia di un amico, che Goethe inserisce proprio come premessa è, infatti, un artificio che ben rappresenta la pressante domanda di un riordino generale della sua opera e soprattutto di un’esposizione veritiera della propria vita, già ricchissima di successi, di passioni e di incontri. Rispecchia anche la difficoltà da parte dell’autore di ripensarsi nell’orizzonte del suo tempo e di misurarsi in relazione agli eventi epocali e ai mutamenti intercorsi. Rispecchia la preoccupazione di tenere insieme qualcosa che sta insieme solo nella sua persona. Tanto più eclatante e geniale risulta il noto incipit astrologico in merito alla sua nascita il 28 agosto 1749: “Die Konstellation war glücklich” per dire che, all’inizio di tutto, c’erano state simbolicamente le stelle e la loro benigna disposizione.

La narrazione si dispiega subito tra storia degli eventi vissuti e poesia del ricordo in un lavoro di montaggio di appunti, lettere e materiali diversi che sarebbe durato fino agli ultimi anni della sua vita. Subito si rende manifesto l’impasto stilistico del libro, subito si confondono e si intrecciano poesia e verità, subito il racconto di sé si fa racconto degli altri, mentre si palesa la doppiezza e la ricchezza del reale. A cominciare dall’arrivo delle truppe francesi a Francoforte e dall’occupazione della casa dei Goethe; occupazione (dal 1759 al 1761) che il padre filoprussiano visse drammaticamente, mentre per il ragazzo fu un’occasione di apprendimento e di crescita. Francoforte sul Meno rivive nell’immagine che ce ne dà il suo figlio più illustre, come una libera città dell’Impero, stretta tra due fuochi, quello prussiano e quello francese. Sfilano i luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza nella casa aperta all’esterno verso la calda vita del quartiere; all’interno gli spazi del perturbante e della severità paterna, ma anche quelli del tepore e della protezione femminile. Seguono i racconti di quelle esperienze diventate luoghi comuni di tutte le biografie goethiane: le vedute del Piranesi, il regalo del teatrino della nonna, la ristrutturazione della casa sotto gli occhi del padre, la scoperta della città, del ponte sul Meno, il gallo d’oro che riluce sulla Croce della cattedrale. Rivivono le strade della città vecchia, la disposizione gerarchica del municipio, gli stucchi, gli ornamenti, il Duomo, la memoria delle incoronazioni imperiali.

Abile il passaggio di stile dai ricordi struggenti in prima persona a quello di una visione a distanza. Il fanciullo aveva visto il fermento, l’andirivieni delle fiere annuali, le ricorrenze e le cerimonie: la vita vivacissima della città mercantile, l’era dei dazi, delle dogane, l’udienza dei pifferai. Stupenda è la rappresentazione dell’infanzia e del momento sorgivo di una vita d’artista.

Ma troviamo naturalmente più o meno tutte le tappe della formazione dopo Francoforte e nei diversi segmenti che raccontano la vita prima di Weimar, per esempio gli anni di Lipsia, l’esperienza di Strasburgo, l’eco dello ‘Sturm und Drang’, il periodo trascorso presso il Tribunale Camerale di Wetzlar, il tempo del Werther. Ci sono importanti digressioni, per esempio il capitolo dedicato alla storia letteraria tedesca fino a metà Settecento che spicca per la capacità dell’autore di vedersi come punto di convergenza e quasi di realizzazione di un vasto orizzonte d’attesa. Una miniera di dati e talora pezzi memorabili quali i ritratti di Herder o del maestro di disegno a Lipsia, Adam Oeser; ci sono anche numerosi profili di donne e di uomini più o meno noti, figure del passato non troppo lontano, passioni e disavventure amorose.

Insomma, con questo volume, il lettore italiano ha di nuovo davanti a sé un grande libro goethiano, che può godere come una libera autobiografia senza modelli. Scritta con la piena consapevolezza di sé e fonte di ogni futura biografia dello scrittore, è un deposito ricchissimo di riflessioni morali, estetiche e religiose, e insieme un grande affresco della fase fondativa della letteratura tedesca moderna. È anche, più semplicemente, la storia di una giovinezza fortunata e felice, nella quale poesia e verità davvero coincidono.