Vent’anni fa la Cina entrava nell’Organizzazione mondiale del commercio dopo 15 anni di trattative, principalmente con gli Usa. Quindici anni che hanno cambiato in modo clamoroso la Cina. Poi nel 2001 è cambiato tutto il mondo.

Tre mesi esatti dopo l’11 settembre, l’11 dicembre del 2001, la Cina chiudeva un’epoca di riforme e stravolgimento di quello che era stata durante il maoismo, per aprirne una nuova che avrebbe portato il Paese a diventare la seconda potenza mondiale.

MENTRE MANIFESTAVAMO a Genova, alcuni mesi prima, la globalizzazione si apprestava a complicare la sua architettura mondiale. Secondo la Conferenza delle Nazioni unite sul commercio e lo sviluppo dal 2001 al 2020 le esportazioni cinesi sono aumentate dell’870% e le importazioni del 740%. Il valore commerciale totale è aumentato dell’810%, molto più velocemente di un aumento del 180% per il commercio globale complessivo. Il contributo medio cinese annuo alla crescita economica globale è ora vicino al 30%.

Il Pil della Cina è cresciuto di otto volte e il volume degli scambi è aumentato di dieci volte. I consumatori americani hanno ampiamente beneficiato dell’ingresso della Cina nel Wto perché hanno potuto acquistare beni prodotti in Cina a prezzi bassi. Le aziende hanno tratto profitto da un maggiore accesso all’enorme mercato cinese. Nel 2017, ad esempio, i consumatori cinesi hanno rappresentato circa il 15% delle vendite di Apple e dal 2001 le esportazioni statunitensi in Cina sono aumentate del 450%.

TUTTAVIA, I SINDACATI nel settore manifatturiero americano si sono opposti fin da subito all’accordo, certi che la manodopera a basso costo in Cina avrebbe comportato perdite di posti di lavoro negli Usa. E avevano ragione: tra il 1999 e il 2011, negli Stati uniti sono stati persi quasi 6 milioni di posti di lavoro nell’industria manifatturiera. Nonostante questa tendenza le aziende americane hanno continuato a investire e produrre in Cina.

L’adesione al Wto – per la Cina – ha prodotto una trasformazione epocale: dal 1990 al 2015, la quota della popolazione cinese che vive in estrema povertà (con meno di 1,90 dollari al giorno) è scesa dal 67 per cento a meno dell’1 per cento. L’economia cinese oggi è undici volte più grande di quanto non fosse nel 2001. Il commercio tra gli Stati uniti e la Cina è aumentato da meno di 100 miliardi di dollari nel 1999 a 558 miliardi di dollari nel 2019. La Cina ha superato la Germania per diventare il più grande esportatore mondiale nel 2009.

L’IMPATTO DEL WTO però, è stato preceduto da vent’anni di «aperture e riforme» che hanno modificato l’assetto sociale del paese: a fine anni ’80 per i lavoratori cinesi è arrivata la fine della ciotola di riso garantita dalle società di Stato; molti di loro sono stati licenziati e solo una parte è stata reintegrata nelle aziende private (permesse attraverso un cambiamento della Costituzione nel 1988 e poi legittimate politicamente attraverso la teorie delle «tre rappresentanze» di Jiang Zemin che insieme a Zhu Rongji fu artefice e realizzatore dei piani di Deng Xiaoping).

Rimane il fatto che dal 1995 al 2002 sono stati tagliati oltre 40 milioni di posti di lavoro nel settore statale, insieme a quasi 30 milioni di posti di lavoro persi nei settori manifatturiero, minerario e dei servizi pubblici. Negli anni ’90 prende inoltre forma il fenomeno dei «fluttuanti», lavoratori che dalle campagne si spostavano nelle zone produttive del paese. Oggi, alla luce della rinnovata postura cinese a livello internazionale, a Pechino vengono rimproverate alcune mancate promesse: aprire davvero alcuni settori rimasti «chiusi», avere proseguito nella pratica dei sussidi di stato ad aziende strategiche, il furto di proprietà intellettuale e non aver riformato maggiormente il proprio sistema.

TUTTE CRITICHE – alcune delle quali innegabili – che però sono diventate più «politiche» solo dopo la crisi economica del 2008 che ha certificato una perdita di potere economico da parte degli Usa in primo luogo. E, come sottolinea su Class Marco Marazzi, osservatore e frequentatore da tempo della Cina, «il paese è stato sul banco degli imputati 47 volte fino al 2020, mentre ha avviato azioni contro altri per 22 volte, soprattutto contro gli Usa.

La Cina ha perso una buona parte dei casi che gli erano stati mossi contro. Tra le sue vittorie recenti, quella del settembre 2020 contro una parte dei dazi di Trump sulle merci cinesi, dichiarati illegali dal panel deputato del Wto». In generale le regole non prevedevano certi scenari, anche per questo il Wto andrà inevitabilmente riformato; spicca però la strana concezione occidentale delle regole concepite dal mondo occidentale: quando non ci garantiscono più, è sempre colpa di qualcun altro. Più è forte questo qualcun altro, più diventerà il nemico con il quale prendersela.