Uno a uno i cosiddetti Paesi sovranisti si erano già sfilati tutti. Mancava solo l’Italia del governo giallo verde, che ieri però ha recuperato il ritardo annunciando che non parteciperà, il 10 e 11 dicembre prossimi, alla conferenza internazionale indetta dall’Onu a Marrakech per ratificare il Global Compact sull’immigrazione. Un annuncio nell’aria da giorni, viste le continue pressioni in tal senso di Lega e FdI, ma reso ufficiale ieri da Matteo Salvini. In pochi minuti il ministro degli Interni smentisce quanto affermato in precedenza sia dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi che dallo stesso premier Giuseppe Conte, e rende nota la nuova linea adottata dall’esecutivo in una riunione a palazzo Chigi: «Il governo del cambiamento lascia che siano i cittadini, tramite i loro rappresentanti parlamentari, a decidere. Più bello e trasparente di così», dice mentre aspetta a Montecitorio il via libera definitivo al decreto sicurezza.

Sembra un gesto di rispetto verso il parlamento, ma è solo un modo per prendere tempo e saltare la scadenza internazionale, visto che quello che verrà firmato tra due settimane in Marocco è un atto «giuridicamente non vincolante» e comunque da sottoporre in ogni caso al vaglio delle camere, come spiega immediatamente una nota della Farnesina sembrata a molti una presa di distanza dalle affermazioni del ministro degli Interni. Affermazioni che poco dopo vengono però confermate direttamente dal premier Conte.

A questo punto le possibilità che il vertice di Marrakech si trasformi nell’ennesima occasione persa per una gestione globale del fenomeno migratorio, crescono a dismisura. L’iniziativa prende avvio nel 2016 con l’adozione all’Onu della Dichiarazione di New York su migranti e rifugiati – sottoscritta da 193 Paesi – che prevede l’avvio entro il 2018 di un Global Compact. Si tratta di poco più di una dichiarazione di intenti che però punta a responsabilizzare i governi nella tutela di quanti – l’Onu parla di 258 milioni di persone – sono costretti a lasciare le proprie abitazioni. Un atto delle Nazioni unite fortemente voluto da Barack Obama al termine del suo mandato, e anche per questo cancellato da Donald Trump dopo il suo arrivo alla Casa Bianca. «Non è in linea con le politiche americane» spiegò nel dicembre scorso Nikki Haley, ambasciatrice americana (oggi dimissionaria) alle Nazioni unite. «Le decisioni sulle politiche migratorie devono essere prese dagli americani e dagli americani solo. Siamo noi a stabilire come meglio controllare i nostri confini», concluse la diplomatica.

Musica per le orecchie dei sovranisti di casa nostra e non solo, che infatti non persero tempo. Prima l’Ungheria di Viktor Orbán, poi Israele, Australia, Bulgaria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria si sono sfilate dal patto rivendicando il diritto a decidere chi e quando può attraversare i confini nazionali. Scelta condivisa anche dalla Svizzera che, prima dell’Italia, sulla questione ha scelto di interpellare il proprio parlamento. Ancora una volta è toccato alla cancelliera Merkel difendere la scelta di aderire al patto Onu dagli attacchi arrivati anche da esponenti del suo governo: «Siamo convinti che una sfida globale come le migrazioni possa essere gestita solo al livello mondiale e con un approccio multilaterale», ha spiegato due settimane fa un portavoce della cancelliera, avvertendo che azioni «in solitaria» da parte degli Stati nazionali potrebbero portare a strade senza uscita.

Basta leggere i 23 punti che compongono il Global Compact per comprendere come molte delle motivazioni accampate dai governi sovranisti siano solo dei pretesti. Da nessuna parte è infatti previsto un obbligo per gli Stati di aderire al patto, che è e resta un atto esclusivamente volontario – o ad accettare migranti e rifugiati, basando invece tuto sul rispetto dei diritti umani delle persone e sulla necessità di fornire un’adeguata sicura e dignitosa accoglienza, con particolare attenzione verso donne e minori. Ma prevedendo anche un impegno comune a quanti sottoscriveranno il patto, a fornire sostegno a quei Paesi che sono maggiormente interessati dai movimenti migratori, i cosiddetti Paesi di prima arrivo di cui fa parte anche l’Italia.

La decisione di non recarsi in Marocco provoca l’ennesima spaccatura interna al M5S: «Il Global Compact va sottoscritto assolutamente», dice ad esempio il presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia, che nelle scorse settimane non ha lesinato critiche anche al decreto sicurezza.