Muro sì. Muro no. Il dilemma è posto a un terzo circa di World War Z, il nuovo kolossal digital-pandemico dedicato ai morti viventi diretto dallo svizzero-tedesco-hollywoodiano Marc Forster e prodotto dalla Plan B di Brad Pitt. Tratto da World War Z: An Oral History of the Zombie War di Max Brooks – figlio di Mel – libro gemello di The Zombie Survival Guide Complete Protection from the Living Dead, il film è una specie di Giro del mondo in 80 giorni con zombie. Riprendendo la struttura mockumentary del libro di Brooks, ossia un resoconto giornalistico di un inviato dell’Onu che tenta di trovare il paziente zero e quindi la causa della pandemia, il film di Forster traccia, una mappa delle varie tipologie nazionali di risposta all’offensiva dei morti viventi.

Ciò che fa la differenza rispetto agli altri film di materia zombesca più o meno recenti è che in onore al canone romeriano resta intatta la volontà di una visione politica del racconto del contagio nonostante anche gli zombi di WWZ scattino come centometristi dopati (discutibile innovazione che si deve a Dan O’Bannon con il suo Il ritorno dei morti viventi). In aperta polemica con l’isolazionismo statunitense e memore della criminale incompetenza con la quale il governo Usa ha fronteggiato Katrina, Brooks irride all’incapacità dell’apparato della sicurezza nazionale di pensare al di là dei propri steccati (e alzi la mano chi al tempo dei fatti di New Orleans non ha pensato agli scenari apocalittici di Romero…). Così non meraviglia che, dopo una puntata in Cina (la memoria della Sars è ancora viva), l’inviato Pitt si precipiti a Gerusalemme dove, a quanto pare, il contagio è tenuto controllo. Nel libro, Israele abbandona i territori occupati all’esplodere dell’emergenza contagio permettendo l’accesso in città solo a palestinesi non contagiati perché «ogni uomo salvato è uno di meno di loro». La visione di una terra promessa igienicamente corretta è da brividi ma d’altronde non è quanto si predica anche dalle nostre parti per quanto riguarda i non italiani o i non padani? Con un tocco di divertita ironia, si attribuisce la saggezza delle misure preventive israeliane al «decimo uomo», ossia il decimo saggio che deve confutare quanto sostenuto dai nove che l’hanno preceduto. E anche qui c’è una lezione da cogliere. Come dire che se la parola «zombie» torna in tutti i report del Mossad, probabilmente proprio di zombie si tratta.

D’altronde nel suo manuale di sopravvivenza, Brooks fa risalire al 1073 AD la storia del dottor Ibrahim Obeidallah «pioniere di fisiologia zombie» il quale decapitato dai crociati nel 1099 a Gerusalemme, vede sopravvivere la propria opera di prevenzione e studio grazie al suo assistente ebreo (uno storico…) che si rifugia a Baghdad. Dunque in WWZ i palestinesi rimettono piede entro le mura di Gerusalemme sotto l’occhio vigile dell’esercito israeliano. Grande sventolio di bandierine palestinesi e israeliane per questo exodus al contrario, che, appunto, etimologicamente è un an-Nakbah, ossia una catastrofe di livello planetario. Grandi canti di riconciliazione e battito di mani, quindi. Tutti i nerd lo sanno, ma i militari e i politici vedono poco cinema e leggono ancor meno fumetti: gli zombi sono attirati dal rumore. Una visione dall’alto, la famosa soggettiva di Dio, quella dalla quale Mel Gibson spremeva le lacrime dell’Onnipotente durante il supplizio sul Golgota del suo unico figlio, mostra la città santa assediata da torme di morti viventi al cui confronto Pietro Mennea fa la figura del dilettante. E come formiche assatanate, intese a dimostrare la vanità di tutte le opere dell’uomo, gli zombi, attratti dal rumore festante, prendono d’assalto le mura di Gerusalemme. È un attimo, e forse anche il momento più sorprendente del film: Gerusalemme cade sotto la furia di uno tsunami di carne macilenta rabbiosa. Gerusalemme cade come Babele. Ebrei e palestinesi azzerati dal contagio zombie. Come dire che la progressiva «palestinesizzazione» degli ultimi è il destino stesso del mondo occidentale. E nessun tardivo abbraccio ecumenico potrà riparare il torto di muri eretti lì dove invece doveva esserci la strada per il mare. George A. Romero lo sostiene da anni: con gli zombie bisogna imparare a viverci altrimenti diventiamo tutti zombie. Ma forse lo siamo già.