Le elezioni europee non hanno consegnato una maggioranza chiara, ma hanno bocciato le politiche di austerità. Servirebbero investimenti per progettare la terza rivoluzione industriale; avremmo bisogno di “servitori dell’Europa”, di dirigenti e politici capaci di pensare ai nipotini di Keynes. Invece è ricomparso il Commissario Olly Rehn, con i suoi voti, la sua bacchetta magica, il pareggio di bilancio, le riforme strutturali, il debito pubblico.

L’appuntamento era segnato nell’agenda, ma Olly Rehn è il fidanzato che non vorresti più vedere, petulante e fastidioso come certi personaggi delle commedie di Carlo Verdone. Non mancano le raccomandazioni. Alcune sono esplicite ed altre in chiaro scuro.

Bruxelles ritorna sulla trasparenza del mercato creditizio, sulla necessità di riequilibrare il carico fiscale sul lavoro, sull’apertura dei mercati dei servizi (il referendum è archiviato), sulla lotta all’evasione da rafforzare ulteriormente, sul sistema scolastico che richiede maggior cura, sulle reti da sviluppare e l’autorità dei Trasporti da lanciare sul serio. Non manca il richiamo sul lavoro. Ovviamente non è tutto.

Gli europei sono in febbrile attesa che dal 2016 entri in vigore il fiscal compact, ovvero di tagliare di un ventesimo l’anno il debito pubblico superiore al 60% del rapporto debito/Pil. Naturalmente dobbiamo ancora fare dei compiti. Il raggiungimento degli obiettivi di bilancio non sono suffragati da misure dettagliate per il 2014 e per 2015. Tecnicamente dovremmo fare una manovra correttiva di 8 mld di euro per il 2014. Non mancano le prescrizioni della Commissione per il mercato del lavoro. Sono sempre le stesse, ma è giusto ricordarle. Garantire una corretta attuazione delle riforme adottate in relazione al mercato del lavoro, in particolare per consolidare la flessibilità in uscita, assieme ad una flessibilità in entrata meglio regolamentata, e un miglior allineamento dei salari alla produttività. Senza contare che il debito continua a crescere: nel 2014 alla quota record del 135,2% del Pil.

L’atteggiamento della Commissione è lo specchio fedele dei trattati comunitari. Non è suo compito cambiarli, piuttosto del prossimo parlamento e dalla politica europea. Alla fine la Bce sembra più innovativa.

Difficile da credere, ma è proprio così. Allo stato attuale abbiamo dei dirigenti europei-zombi. Sono un passato che non è più presentabile.

Vale la pena richiamare le considerazioni di Visco nell’ultima assemblea di Banca d’Italia: «L’euro è una moneta senza Stato e di questa mancanza risente… per completare il cammino lungo la strada dell’integrazione vanno condivisi altri elementi essenziali di sovranità; all’Unione bancaria, in corso di attuazione, dovrà seguire la creazione di un vero bilancio pubblico comune. La definizione di strumenti che consentano di intervenire a sostegno della crescita dell’economia e del benessere dei cittadini aiuterebbe l’Unione europea a riacquistare il consenso che è andata in parte perdendo».

Forse la Banca centrale europea (Mario Draghi, alunno di Federico Caffè) ha compreso meglio la crisi dei burocrati della Commissione: «Serve una più ampia azione di politica economica a livello europeo. Misure tempestive per accelerare la realizzazione di infrastrutture, non solo materiali».

I compiti a casa cominci a farli la Commissione Europa, cioè i capi di Stato e il Parlamento diventino soggetto del cambiamento che i cittadini europei si aspettano.