L’immagine oramai è nota perché molti quotidiani l’hanno pubblicata e commentata. Ci sono una trentina di ventenni in uniforme. Posano per una foto ricordo. Uno di loro tiene in mano una bandiera. La bandiera è della Repubblica Sakha, o Yakutia, nell’estremo oriente della Federazione russa.

Quelli sarebbero «i killer di Bucha», come ha scritto martedì il Corriere della Sera, oppure gli uomini del «battaglione siberiano, ultimo mostro del putinismo», per riprendere il titolo ancora più efficace scelto dalla Stampa.

Le immagini pubblicate dal musicista ucraino Oleksii Potapov sul suo profilo Instagram con il messaggio: «Presto conosceremo tutti i vostri nomi».

MA CON OGNI PROBABILITÀ nessuno di quei militari ha mai messo piede in Ucraina. Neanche in abiti civili. «La foto l’abbiamo scattata nel 2019, a Khabarovsk, all’inizio della leva», dice Vladimir Osipov, vent’anni, macchinista nel distretto di Namsky, un gruppo di villaggi e di case isolate tenuto insieme da una strada bianca a un paio di ore d’auto dalla capitale della Yakutia, Yakutsk. È da lì che riceve la nostra videochiamata, in cui ci mostra la sua casa, che spiega come ha passato gli ultimi mesi.

«In Ucraina non sono mai stato. Non ho mai preso parte ad alcun combattimento. Il servizio è durato due anni e l’ho svolto con la 64esima brigata, a Khabarovsk, nella base di Knyaze Volkonskoye. Ma la leva è finita a dicembre e io da allora ho sempre vissuto qui con la mia famiglia».

Osipov è in quella fotografia, si trova al centro, nell’ultima fila. «Tutti coetanei e tutti yakuti. Per quel che ne so, tutti in congedo da dicembre». Con i terribili fatti accaduti a Bucha, ripete al telefono, «io non ho nulla a che fare».

L’immagine che decine di quotidiani, non solo in Italia, hanno usato per dare un volto agli assassini di Bucha non mostrerebbe affatto i veri autori della strage

Insomma, l’immagine che decine di quotidiani, non solo in Italia, hanno usato per dare un volto agli assassini di Bucha non mostrerebbe affatto i veri autori della strage. Il che non esclude e non riduce il ruolo dell’esercito russo in questa terrificante vicenda. Anzi.

Le testimonianze raccolte proprio a Bucha negli ultimi giorni e le trasmissioni radio intercettate dall’intelligence tedesca che Spiegel ha riportato ieri confermano il metodo seguito sul territorio dell’Ucraina e portano nel quadro anche le truppe mercenarie del Gruppo Wagner.

È chiaro a tutti, però, che la ricostruzione degli eventi e l’attribuzione delle responsabilità debbano necessariamente essere basate su elementi certi e concreti.

OGGI RICOSTRUIRE IL PERCORSO di quella foto è complesso. Alcuni punti sono, tuttavia, piuttosto evidenti.

Il 4 aprile a Kiev Aleksey Arestovich, consigliere del presidente, Volodymyr Zelensky, e negoziatore al tavolo con i russi, ha diffuso l’elenco dei reparti che hanno occupato Bucha. L’elenco comprendeva una dozzina di sigle. La prima era proprio quella del reparto in cui è stato in servizio Osipov. Lo stesso giorno il portale di informazione InformNapalm, specializzato sulla guerra in Ucraina, ha reso accessibile un file con i dati di centomila cittadini russi che hanno svolto il servizio militare negli ultimi anni.

CON UN AVVERTIMENTO: queste tabelle contengono anche dati vecchi, quindi «dovrebbero essere trattate con cautela». È possibile immaginare che non tutti abbiano seguito il consiglio.

Sempre il 4 aprile il musicista ucraino Oleksii Potapenko ha pubblicato sul suo profilo Instagram diverse immagini di Osipov, trovate forse attraverso i social network, compresa quella che è finita poi sui quotidiani. In calce Potapenko ha scritto un messaggio: «Ecco una foto dei soldati dell’unità militare 51460 del villaggio di Knyaz-Volkonskoye, nel territorio di Khabarovsk. Erano a Bucha. Presto tutti questi assassini, stupratori e predoni saranno conosciuti per nome». Il suo profilo Instagram ha due milioni di iscritti. Quel messaggio oltre centomila “mi piace”.

UNO DEI COMMILITONI di Osipov, un altro ventenne di nome Andrey, accetta di parlare a patto che non siano rivelati né il cognome, né il patronimico, né la località in cui si trova, sempre in Yakutia.

La conversazione in video dura una decina di minuti. Anche lui è stato per due anni a Khabarovsk con la 64esima. Anche lui a dicembre ha lasciato l’esercito per fare ritorno alla vita civile. Nella foto è il terzo da sinistra. In testa indossa un berretto.

«Assieme a quella fotografia, giorni fa, sono stati resi pubblici i miei dati personali. I primi ad accorgersene sono stati alcuni amici. Mi hanno avvertito. Mi hanno chiesto che cosa stesse succedendo. Ho ricevuto messaggi con insulti e minacce. Ero sotto shock. Come potete capire è una brutta situazione».