Costruivano yacht di lusso venendo sfruttati, minacciati, pagati una miseria e persino derubati. Anche la nautica si unisce per la prima volta ai settori industriali soggetti al caporalato e all’intermediazione illecita di manodopera. I grandi cantieri del Levante ligure – per ora non coinvolti dall’indagine – appaltano e sub appaltano la costruzione degli yacht a società fittizie come la Gs painting in cui 150 operai, in buona parte bengalesi, venivano sfruttati a partire da un 36enne connazionale in combutta con i capi italiani. La Guardia di finanza di La Spezia ha arrestato otto persone – 7 in carcere e una ai domiciliari – accusate di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro e hanno sottoposto a sequestro preventivo oltre 900 mila euro in un’operazione condotta tra Spezia, Savona, Carrara e anche Ancona.
Lavoratori costretti a turni massacranti, sorvegliati a vista e spesso minacciati o picchiati. I capi, approfittando dello stato di bisogno dei migranti, pagavano gli operai 4 o 5 euro l’ora impiegandoli in attività pesanti e pericolose, come la saldatura, la stuccatura e la verniciatura di super yacht. Non esistevano ferie, né straordinari, tanto meno la malattia: chi stava a casa, anche per positività al Covid, non veniva retribuito. In caso di infortunio sul lavoro, i lavoratori erano costretti a fornire una falsa dichiarazione al personale del pronto soccorso, senza fare alcun riferimento al lavoro svolto.
In più una volta pagate le buste paga con bonifici bancari, i «caporali» pretendevano, anche con l’uso di violenza e minacce della perdita del posto di lavoro, la restituzione, in contanti, di parte dei salari, costringendo gli operai a continui prelievi al bancomat.
Il meccanismo era stato studiato da un membro del gruppo, un consulente del lavoro di Ancona, il quale predisponeva false buste paga con il minimo dei contributi previdenziali, consentendo all’azienda di essere apparentemente in regola col Durc per poter ricevere le sostanziose commesse ed accedere ai prestigiosi cantieri navali spezzini.
L’operazione «Dura labor» è stata una lunga indagine partita da tutt’altro: la verifica dei requisiti di permanenza dei migranti nei centri di accoglienza. Nelle intercettazioni disposte dalla Procura nell’ultimo anno capi e caporale usavano sempre le minacce: «Ti do un calcio, ti butto dall’alto della nave». La voce è quella di un 36enne del Bangladesh, finito in carcere perché ritenuto uno dei più fedeli collaboratori del «capobanda»: «Dopo averlo attaccato ammazzalo… non capisce niente quell’uomo». «Detti episodi – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Mario De Bellis – rappresentano la consueta modalità di gestione delle maestranze».
Per Lara Ghiglione, segretaria generale della Cgil della Spezia, «l’operazione sul capolarato squarcia il velo di una situazione che come Cgil abbiamo più volte denunciato negli ultimi anni. È il sistema dei subappalti selvaggi a creare queste forme aberranti di sfruttamento».
«L’operazione di La Spezia è solo la punta dell’iceberg di un mondo di lavoro sommerso nella catena di appalti, subappalti e di caporalato finalizzati a ridurre salari e diritti a livelli inauditi – commentano Maurizio Acerbo e Veruschka Fedi, rispettivamente segretario nazionale e provinciale della Spezia di Rifondazione Comunista – . Una sinistra degna di questo nome deve pretendere da un lato lo sganciamento del permesso di soggiorno dal contratto di lavoro e dall’altro l’istituzione di un salario minimo legale da garantire anche nei contratti d’appalto, insieme alle tutele previste dal contratto di riferimento».