Piccoli e silenziosi, il nemico non deve sentirli arrivare: i mini droni interattivi sono la nuova ossessione degli alti papaveri degli eserciti. Per il momento fanno «volare» nuvole di soldi: 99 milioni di dollari per introdurli nel vecchio programma Shadow del Pentagono e 75 milioni di sterline per integrarli nella Royal Navy britannica – con o senza Brexit – solo per parlare degli ultimi stanziamenti di questo inizio aprile.

E intanto si sperimentano sempre più autonomi e precisi, nell’individuare mine e sottomarini, nel pattugliare territori di confine, deserti e giungle, nel riconoscere bersagli, nel trasportare munizioni e riparare armi tramite la tecnologia della «stampa3D». Ma soprattutto – per il momento – sono un fiore all’occhiello nei «giochi di guerra», cioè nelle esercitazioni tattiche che tanto piacciono ai militari e che fanno parte di questa epoca di «Fase-zero» (o Zero Phase) nella tassonomia della guerra.

È così che si chiama in gergo militare americano la nuova versione della guerra fredda, comprensiva del cyberspazio.

Un’epoca caratterizzata anche e soprattutto di spionaggio online, disinformazione di massa organizzata attraverso fake news e social media com’è stato durante la campagna elettorale di Donald Trump, cyber-attacchi per mandare in panne i sistemi informatici governativi com’è successo non più tardi di un mese fa in Spagna (è stato a metà marzo e il ministero della Difesa iberico ha attribuito la responsabilità a una non meglio identificata «potenza straniera»), diffusione di allarmi tipo l’antrace, o eliminazione di agenti segreti con cocktail, tisane e profumi infettati da radioisotopi di potenza letale .

Del resto torri robotiche di sorveglianza sono state studiate tra Stati uniti e Messico come «muro digitale» per un certo tempo preferito dal presidente Trump. Si trattava del progetto «Anduril» ideato – e realizzato in esperimento lungo la frontiera del Rio Grande – dal più celebre giovane supporter del presidente: il 26enne Palmer Luckey.

E del resto una barriera dello stesso genere sarebbe stata proposta, e poi scartata dalla Ue, anche tra Turchia e Siria, sempre in funzione «anti-invasione» di migranti, proprio come «anti-invasione» sono le torri realizzate dalla Samsung per monitorare la fascia di territorio tra le due Coree – unico esempio realizzato di Killer robots in funzione –, letali per qualsiasi essere umano si trovi ad attraversare la terra di nessuno tra le due barriere di confine.

Lo scenario successivo a questa «Fase-zero» è però molto, molto più inquietante. L’ultimo rapporto del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), autorevole organizzazione di analisi delle spese militari e politiche della sicurezza nel mondo, lancia un allarme sui possibili esiti bellici di alcuni recenti sviluppi tecnologici. Un allarme che comprende i Killer robots, sistemi d’arma integralmente automatici, capaci cioè di decidere quando e se colpire indipendentemente da qualsiasi decisione umana, ma va oltre.

Il rapporto, uscito a fine marzo – Bio Plus X: Arms control and the convergente of biology and emerging technologies – del Sipri, sostiene che i progressi della biotecnologia (la manipolazione genetica degli organismi, dai batteri ai tessuti umani) potrebbero essere messi a servizio della proliferazione di armi biologiche e avere un effetto disruptive esponenziale se unite alle altre tre tecnologie “emergenti”: l’intelligenza artificiale (in sigla Ai, comprensiva del machine learning), la robotica e la additive manufacturing (in sigla Am, più comunemente nota come stampa3D).

Attualmente la convergenza di queste tecnologie innovative in ambito bellico è non solo possibile ma difficilmente controllabile anche attraverso la diffusione delle informazioni e la creazione di laboratori-cloud, dove gli esperimenti possono essere compiuti anche in remoto, da piccoli gruppi disarticolati e informali di sviluppatori. Non si tratta certo di fermare i progressi scientifici, da cui dipendono gli straordinari avanzamenti in ambito civile e soprattutto sanitario sia diagnostico, sia per le cure personalizzate del cancro e delle malattie rare e persino sui modelli predittivi di nuove epidemie.

Per il Sipri però l’unico strumento di controllo esistente, la Convenzione contro la proliferazione delle armi biologiche e tossiche del 1972, si dimostra insufficiente e deve essere quanto meno riformato e adeguato alle nuove minacce biotecnologiche.

Sipri propone un comitato consultivo scientifico di monitoraggio permanente che affianchi le istituzioni di controllo legate al trattato del 1972, standard di sicurezza per i dati genomici e di privacy, codici di condotta per gli scienziati, corsi obbligatori sull’etica della ricerca e la biosicurezza negli istituti di ricerca e nelle università e altro ancora. Nel frattempo la commissione delle Nazioni unite sul monitoraggio delle nuove armi che si è riunita a Ginevra a fine marzo, non ha preso nessuna decisione.

Neanche per rispondere alle sollecitazioni della campagna Stop Killer robots che si sta diffondendo in oltre 28 Paesi. Francesco Vignarca, coordinatore della campagna in Italia e portavoce della Rete Disarmo, sostiene che per superare le resistenze russe, cinesi e statunitensi alla messa al bando delle armi interamente autonome dal controllo umano «adesso non si può che sensibilizzare l’opinione pubblica, i parlamenti e i governi, per attivare un percorso negoziato verso un nuovo trattato».

Già nelle prossime settimane è stata chiesta dalla campagna Stop Killer robots una audizione sia al Senato sia alla Camera e a maggio sarà organizzato un evento seminariale all’interno del Festival dei diritti umani