Aggiornamento delle ore 9

Alle 20.30 circa (le 2.30 in Italia) La Casa bianca ha ordinato un attacco contro la Siria. Almeno 59 missili Tomahawk sono stati lanciati da due navi da guerra nel Mediterraneo (la Port e la Ross) contro la base militare governativa a Al Shayrat, da cui sarebbero partiti gli aerei carichi di armi chimiche lanciate sulla cittadina di Khan Sheikhun nei pressi di Idlib. Il bombardamento è durato 4 minuti.

Il presidente Donald Trump lo ha annunciato in diretta tv circondati dai suoi più fedeli consiglieri, tra cui Steve Bannon e Reince Priebus, oltre alla figlia Ivanka Trump. “E’ nell’interesse vitale della sicurezza nazionale degli Stati uniti prevenire e impedire il diffondersi dell’uso di armi chimiche”.

Secondo un portavoce del Pentagono, le forze armate russe sono state preavvisate poco prima dell’attacco, e gli Usa si sono sincerati di colpire una base priva di caccia russi. Il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, in nottata, ha definito l’azione americana come “l’attacco a un paese sovrano”.

Secondo gli analisti Usa, il bombardamento tramite missili era l’opzione più “leggera” tra le tre messe sul tavolo di Trump dagli stati maggiori.

Il presidente americano continua il vertice con il leader cinese Xi Jinping nel club di Mar-A-Lago, che entra oggi nel vivo dei colloqui.

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Questo l’articolo sul manifesto in edicola:

Indietro di quattro anni: la Siria torna al 2013 e ai venti di guerra globale che spirarono dalla Casa bianca di Obama. Oggi è il nuovo inquilinoTrump a prospettare un intervento. A una settimana dall’endorsement Usa ad Assad, il presidente Usa si dice pronto ad un’operazione militare.

Lo rivelano fonti interne alla Cnn: Trump ha detto ad alcuni membri del Congresso che sta considerando la possibilità di intervenire, ma nessuna decisione è stata ancora presa.

TUTTO È IN MANO, dicono le fonti al capo del Pentagono Mattis, con cui il presidente si sta al momento consultando. Un consigliere che ha costruito la sua carriera sulla guerra e che ora potrebbe far sprofondare la Siria nell’ennesimo abisso.

Per sapere qualcosa di più forse non si dovrà aspettare l’11 aprile, quando il segretario di Stato Usa Tillerson volerà a Mosca. Più cauta ieri era Theresa May: la premier britannica ha frenato sull’eventualità di un’operazione, preferendo fare pressioni sullo sponsor russo.

SULLO SFONDO RESTA un attacco odioso, rimpallato da una cancelleria all’altra, e che assomiglia – se fosse Assad effettivamente responsabile – ad un suicidio politico e militare, all’ammissione di possedere ancora armi chimiche dopo la consegna dell’arsenale nelle mani dell’Onu nel 2014.

Ieri le opposizioni sono tornate all’attacco mediatico, pubblicando video girati nel villaggio di al-Lataminah, ad Hama: fumo giallastro si alza dagli edifici, elicotteri volano in lontananza. La spiegazione fornita dalle opposizioni: si tratta di bombe barile sganciate dall’aviazione governativa.

SE COSÌ È, SIGNIFICA che Assad ha optato per l’auto-capitolazione. Ma lui, come Mosca, insiste: l’attacco di martedì a Khan Sheikun (72 morti, 300 feriti) non è stato provocato da gas lanciato dall’esercito. «Lo sottolineo ancora una volta – ha detto ieri il ministro degli Esteri Muallem – L’esercito siriano non ha mai usato, non usa e non userà questo tipo di armi, nemmeno contro i terroristi».

Il ministro ha poi aggiunto che l’ambasciatore russo all’Onu ha discusso al Palazzo di Vetro la creazione di una commissione d’inchiesta (come richiesto nella bozza di risoluzione di Washington, Londra e Parigi, il cui voto è stato rinviato per il dissenso russo) «neutrale e non politicizzata» che svolga indagini «obiettive».

DA ANKARA GIUNGONO, intanto, i risultati delle prime tre autopsie: i civili sono stati uccisi da gas tossici. Lo ribadisce anche l’intelligence Usa: dall’analisi dei radar si evince che al momento dell’attacco aerei siriani sorvolavano la zona.

Rapporti che, secondo Damasco, non smentiscono la versione governativa e russa: un bombardamento c’è stato, dicono, con missili “normali” contro un deposito di armi dei qaedisti dell’ex al-Nusra che conteneva mine a base di armi chimiche.

Si potrebbe proseguire in eterno con le cancellerie mondiali impegnate a tracciare il limite di un’etica che in guerra non esiste: in Siria si muore da anni, di missili delle opposizioni, di attentati di al Qaeda e dell’Isis, di bombe del fronte pro-Assad e del fronte anti-Assad. Ma è il gas, come dice Trump, l’unica «linea rossa».

EPPURE I MASSACRI sono quotidiani, il paese è in macerie insieme alla sua economica, le sue relazioni sociali, le sue bellezze architettoniche e la sua cultura. E le macerie sono figlie di una guerra globale, per procura, traslata in una guerra civile e che coinvolge l’intero Medio Oriente: impossibile non vedere gli interessi che muovono certi attori, a partire dalla Turchia – primo sponsor delle opposizioni islamiste e non, arroccate ad Idlib – che solo due giorni fa ha annunciato l’intenzione di allargare l’operazione siriana Scudo dell’Eufrate (solo ufficialmente sospesa) al vicino Iraq, in chiave anti-kurda e anti-sciita.

E MENTRE SI PROFILA all’orizzonte un conflitto ancora più aspro, non si ferma la macchina diplomatica: ieri l’inviato Onu per la Siria Staffan de Mistura ha annunciato per maggio il nuovo round di negoziati a Ginevra, mentre il vice ministro russo degli Esteri Ryabkov ha fatto sapere che continuerà il lavoro sul «format Astana», tavolo parallelo a quello Onu e sponsorizzato da Russia, Turchia e Iran.

Processi avulsi dal terreno, visti i risultati pressoché inesistenti. Ma il gas ha fatto improvvisamente alzare le quotazioni di opposizioni ormai all’angolo, per questo i dubbi che simili attacchi siano in realtà orchestrati vengono mossi da più di un osservatore.

INTERVIENE ANCHE ASSAD. In un’intervista al quotidiano croato Vecernji list, si rivolge all’Europa: non riuscite a difendervi dai terroristi perché li sostenete. «Un’opposizione moderata [in Siria] non esiste – ha detto – Esiste solo un’opposizione jihadista che non accetta dialoghi o soluzioni. Per questo non riusciamo a ottenere risultati concreti con loro, come ad Astana. Non appartengono a una corrente o un movimento interno al popolo siriano».