Tra una crisi e l’altra il segretario di Stato Usa Kerry si presenta alla corte del presidente al-Sisi, in un periodo caldo per l’Egitto. Dopo il meeting di Vienna sulla Siria di ieri è volato al Cairo dove oggi incontrerà l’ex generale, la seconda visita in meno di un mese. Dei punti all’ordine del giorno non si sa molto: si parlerà di «argomenti bilaterali e regionali», lo scarno commento del portavoce del Dipartimento di Stato.

Tra quelli bilaterali è possibile che i due affrontino la succosa questione degli aiuti militari che Washington concede all’Egitto del golpe: dopo la riapprovazione del Congresso dell’annuale “paghetta” da 1,3 miliardi di dollari, due giorni fa è stata siglata lai vendita di missili per sottomarini dal valore di 143 milioni di dollari. Una somma ingente per un paese in crisi economica che deve piegarsi alle ambizioni egemoniche saudite nella regione per ottenere finanziamenti. Senza dimenticare che la scorsa settimana al porto di Alessandria erano arrivati veicoli Mrap statunitensi, atti a difendere i soldati dalle mine.

Eppure è di pochi giorni fa l’aperta critica del Government Accountability Office (Gao), agenzia governativa Usa che monitora a nome del Congresso le spese del governo: il Dipartimento di Stato – spiega in un rapporto il Gao – non sa dimostrare come armi da 6.5 miliardi di dollari (arrivate al Cairo tra il 2011 e il 2015) siano state effettivamente usate.

Ma al-Sisi resta imprescindibile alleato – ed ecco che entrano in gioco le questioni regionali – soprattutto nella vicina Libia e nel conflitto israelo-palestinese, per cui si è proposto ieri come negoziatore, nonostante le palesi politiche di chiusura contro la Striscia di Gaza degli ultimi tre anni. Washington è chiaro: vogliamo mantenere – ha detto ieri il portavoce del Dipartimento di Stato Kirby – «rapporti vibranti e sani» con l’Egitto.

L’incontro avviene a pochi giorni dall’ondata di condanne contro i manifestanti scesi in piazza il 15 e il 25 aprile: 152 persone dovranno scontare tra i 2 e i 5 anni di prigione. Tra loro anche dei giornalisti: l’ultimo in ordine di tempo a finire dietro le sbarre è il fotografo Ali Abdeen (noto con lo pseudonimo Ali Beka) dell’agenzia web el-Fagr. Arrestato il 25 aprile, è stato condannato a due anni di carcere con l’accusa di incitamento alle proteste e pubblicazione di notizie false.

Difficile, in tale contesto, che si spenga il conflitto in corso tra il governo cariota e il sindacato della stampa. A scaldare gli animi interviene la Commissione parlamentare per i media, incaricata dal parlamento di negoziare una soluzione ma palesemente schierata a favore del ministro degli Interni Ghaffar. Ieri la commissione ha presentato un rapporto nel quale accusa il sindacato di aver commesso un «grave errore legale» quando ha dato riparo nella propria sede a due giornalisti “ricercati”, Badr e al-Saqqa, in prigione dal primo maggio.

«La commissione ritiene – si legge nel rapporto – che il sindacato abbia violato la legge. Questo è il cuore del problema e la ragione della crisi». Insomma, tutta colpa della stampa e dei suoi rappresentanti. Che però non cedono: l’assemblea prevista per ieri si terrà oggi con l’obiettivo, dice la segreteria, di «discutere le misure da prendere nell’immediato futuro».