Si apre oggi a Washington il secondo vertice Stati Uniti-Africa, otto anni dopo il primo grande summit voluto dall’amministrazione Obama che aveva messo a confronto gli Stati uniti con il continente africano. Archiviato il disinteresse della gestione Trump, Joe Biden ha deciso di riavviare questo rapporto determinante a livello geo-strategico.

Ma la rincorsa americana al continente parte in salita. Anche se gli Usa vantano ancora solide amicizie, come il Marocco o l’Uganda, in questi anni di relativo distacco sono stati la Russia, la Cina, la Turchia e i Paesi del Golfo a occupare spazio in Africa. E i cinquanta tra leader e ministri presenti al summit sono abituati a essere corteggiati e coccolati in località balneari della Russia o a essere ricoperti di investimenti dalla Cina.

BIDEN DOVRÀ GIOCARE AL MEGLIO la sua partita e la miglior carta che ha è la proposta di inserire l’Unione africana nel G20, dove il Sudafrica è l’unico rappresentante del continente. Proprio il presidente sudafricano potrebbe essere il grande assente viste le accuse di corruzione che gli sono piovute addosso nelle settimane scorse, ma non sarà l’unico a mancare. Washington ha infatti deciso di non invitare Mali, Burkina Faso, Guinea-Conakry, Sudan, Eritrea, tutti ormai stabilmente nell’orbita della Russia (nei giorni scorsi il primo ministro burkinabé si è recato a Mosca con un aereo militare maliano) e considerati irrecuperabili.

L’incontro con i leader africani sarà comunque complicato dalla presenza di alcuni elementi scomodi. Il primo ministro etiope Abiy Ahmed, fresco di accordo di pace in Tigray, è accusato da più parti di crimini contro il popolo tigrino; i presidenti di Egitto e Tunisia vengono criticati per i loro attacchi ai diritti umani e alla democrazia; il presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, il capo di stato più longevo al mondo, appena rieletto con un voto farsa che ha sollevato molti dubbi anche negli Usa.

Biden si ritroverà a gestire anche la delicata situazione fra Ruanda e Repubblica democratica del Congo, ancora una volta vicini allo scontro nell’est del gigante africano, con l’aggressività di un presidente come il ruandese Paul Kagame, che è molto apprezzato dall’occidente. Una situazione diplomaticamente complessa che gli Stati uniti vogliono gestire dimostrando di essere più attraenti dei grandi concorrenti euro-asiatici.

SUI NUMERI SI TRATTA di una vera e propria rincorsa perché la Cina investe nel continente africano quattro volte di più rispetto agli Usa, per i quali l’Africa rappresenta solo l’1,1% del loro commercio globale. La Russia è il primo importatore di armi nel continente, mentre l’azione diplomatica di Ankara è incessante con l’apertura di scuole, ospedali e soprattutto moschee.

Gli Stati uniti vogliono inoltre continuare a combattere il jihadismo dilagante nel Sahel, nel Corno d’Africa e in Mozambico e per questo puntano a rafforzare la loro presenza militare negli stati chiave che si affacciano sul Golfo di Guinea o sul Mar Rosso. Una corsa contro il tempo e contro avversari radicati e preparati, che Washington vuole comunque provare a vincere.

Militari Usa addestrano in Somalia una brigata dell’esercito di Mogadiscio  (foto U.S. Air Force)