Dal primo gennaio la Cina ha istituito una zona di pesca, a sud della provincia cinese dell’isola di Hainan. La zona comprende acque che sono da tempo al centro di controversie territoriali tra Cina, Vietnam, Filippine, Taiwan, Malesia e Brunei. La decisione di Pechino, che segue quella di fine anno scorso riguardo la zona di identificazione aerea, non poteva non creare nuove polemiche, anche perché secondo i detrattori della potenza cinese, l’area di pesca che la Cina ha riservato per sé, imponendo di fatto a qualsiasi altro peschereccio di comunicare all’interno della zona la propria presenza per ottenere un eventuale permesso, sarebbe quella più ricca di risorse.
Le forze di polizia marittima cinese avrebbero quindi la facoltà di espellere qualsiasi peschereccio straniero entrato nelle acque senza permesso e confiscare la nave. I trasgressori potrebbero anche affrontare multe di 500mila yuan (circa 60mila euro). Secondo quanto affermato dai funzionari di Hainan nessun peschereccio, dal primo gennaio, sarebbe stato espulso o bloccato; tuttavia, i media vietnamiti hanno riferito che un loro vettore sarebbe stato sequestrato il 3 gennaio scorso. Raul Hernandez, portavoce del Dipartimento degli Affari Esteri delle Filippine, ha detto che Manila non era stata informata circa le nuove regole e ha subito chiesto chiarimenti alla Cina. La risposta più dura, ovviamente è arrivata da Washington che ha definito la decisione cinese, «provocatoria e potenzialmente dannosa». La portavoce della segreteria di Stato americana ha specificato che la Cina non avrebbe avvisato circa le proprie intenzioni, in piena violazione degli accordi internazionali, sottolineando inoltre come «il gesto cinese rischi di aumentare le tensioni e gli accordi diplomatici che garantiscono la pace nella regione».
Con la scusa di alterare gli equilibri dell’area, che di equilibrato hanno ben poco, tanto la Cina quanto gli Stati Uniti, rinfacciano l’un l’altro ogni mossa. Pechino non perdona a Obama di avere inaugurato con estrema veemenza la propria strategia asiatica – conosciuta come Pivot to Asia – e che secondo i cinesi non sarebbe altro che un tentativo di accerchiare la Cina. Sia da un punto di vista militare, attraverso le basi e le alleanze, sia da un punto di vista commerciale, dato che gli Usa stanno lavorando a un trattato di libero commercio con molti paesi asiatici, ad esclusione, ovviamente, della Cina. Washington dal canto suo polemizza con Pechino per ovvie ragioni: stiamo parlando di un’area geografica in cui la Cina ha storicamente dominato e il Nuovo Sogno cinese del Presidente Xi Jinping prevede un nuovo ruolo preminente del paese proprio nella zona considerata di «casa».
Ieri a seguito delle polemiche scatenate dalle parole del Dipartimento di Stato americano, Pechino ha risposto. Da un lato sono arrivate le parole dei portavoce dei ministeri nazionali che hanno sottolineato la legittimità della decisione cinese (ricordando che gli Usa hanno una zona riservata analoga sui propri territori), ma anche a livello di risposte mediatiche alcuni commenti al vetriolo hanno riattivato la polemica tra i due paesi. La Cina in questi casi, attraverso gli editoriali e i commenti sui suoi quotidiani in inglese e cinese, non si rivolge solo agli americani, ma soprattutto agli asiatici. Attenti, hanno sottolineato i commentatori cinesi, la strategia americana è la vecchia litania imperialista: dividi et impera. In realtà dietro questo continuo balletto diplomatico tra Cina e Usa, ci sono alcune origini ben precise: in primo luogo la supremazia marittima nel Pacifico, diventato un terreno di confronto muscolare e non solo economico. La tensione nell’area sta salendo: cresce la militarizzazione e aumentano i potenziali motivi di scontro, anche tra paesi che dovrebbero far parte della stessa alleanza, come dimostrato dal recente confronto tra Sud Corea e Giappone.
Infine, proprio ieri la Cina ha comunicato i propri dati commerciali, che permettono a Pechino, in attesa dei dati americani, di dichiararsi prima potenza economica nel mondo. La Cina avrebbe superato nel 2013, per la prima volta nella storia, i 4miliardi di dollari nel volume degli scambi commerciali, superando dunque il dato statunitense.