Mentre sulla scia degli attentati terroristici di Parigi Washington prepara il summit del 18 febbraio, in cui con gli alleati decideranno «i modi per contrastare l’estremismo violento che esiste nel mondo», il Pentagono – come annunciato dal portavoce John Kirby – prepara «l’addestramento di altri 5mila miliziani moderati siriani». In tal modo «Washington continua a lavorare con Ankara al fine di formare ed equipaggiare le forze moderate dell’opposizione siriana», programma a cui partecipano anche Arabia Saudita e Qatar.

Il Ministero degli esteri turco comunica che «l’accordo definitivo sul programma è molto vicino». La Turchia conferma così di essere l’avamposto della guerra contro la Siria: qui la Nato ha oltre venti basi aeree, navali e di spionaggio elettronico, rafforzate da batterie missilistiche statunitensi, tedesche e olandesi, in grado di abbattere velivoli nello spazio aereo siriano. A queste basi si è aggiunto uno dei più importanti comandi dell’Alleanza: il Landcom, responsabile delle forze terrestri dei 28 paesi membri, attivato a Izmir (Smirne). Il Landcom, agli ordini del generale Usa Hodges, fa parte della Forza congiunta alleata con quartier generale a Lago Patria, agli ordini dell’ammiraglio Usa Ferguson, che è allo stesso tempo comandante delle Forze navali Usa in Europa e delle Forze navali del Comando Africa.

Come documentano inchieste del New York Times e del Guardian, soprattutto nelle province turche di Adana e Hatai la Cia ha aperto da tempo centri di formazione militare di combattenti da infiltrare in Siria, nei quali sono stati addestrati in particolare militanti islamici provenienti da Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Libia e altri paesi. Le armi arrivano soprattutto via Arabia Saudita e Qatar. Per il nuovo programma, che dovrebbe iniziare a primavera, il generale Michael Nagata, capo delle Operazioni speciali del Comando centrale Usa, sta selezionando i miliziani.

Non si sa quale criterio segua il generale per appurare se siano «moderati», ossia capaci di combattere (secondo quanto affermano a Washington) sia contro le forze dell’Isis, sia contro quelle governative siriane. Si sa invece per certo che molti dei «miliziani moderati», addestrati e armati dagli Usa e dai loro alleati europei e arabi per rovesciare il presidente Assad, sono poi confluiti nelle formazioni dello Stato Islamico e del fronte qaedista al-Nusra, che perseguono lo stesso obiettivo. È stato uno smacco o un’abile mossa di Washington per alimentare l’Isis, funzionale alla strategia per demolire la Siria e riconquistare l’Iraq?

Un interrogativo legittimo, se si ha davanti agli occhi la foto del senatore John McCain che, in missione in Siria per conto della Casa Bianca, incontra nel maggio 2013 Ibrahim al-Badri, il «califfo». O il recente servizio televisivo della tedesca Deutsche Welle, che mostra come centinaia di tir attraversano ogni giorno senza alcun controllo il confine fra Turchia e Siria, verso Raqqa, base delle operazioni Isis in Siria. O le immagini delle telecamere dell’aeroporto di Istanbul, che mostrano la compagna di uno dei terroristi di Parigi che rientra facilmente in Siria attraverso la Turchia. A che cosa serviranno gli altri 5mila miliziani che, nel quadro delle operazioni speciali Usa, saranno addestrati ad attacchi di commandos e attentati con autobomba? Al terrorismo, ma «moderato».