Sono molti gli accadimenti del 1969 che, in tutto il mondo, hanno anticipato i nostri futuri e hanno contribuito a dar loro un senso. L’onda lunga del Sessantotto, in particolare in Italia, inoltre, incrocia le lotte operaie e i primi fermenti delle future battaglie per i diritti civili: col desiderio di far dialogare classe operaia, ceti subalterni, studenti e femministe in una immaginazione concreta di mondi e istituzioni alternative. D’altra parte se scrivere o cinegrafare di «fantascienza» significa immaginare mondi alternativi – così come fare poesia – anche questi da allora si sono intesi come modi per fare politica e non solo per «impegnarsi» eticamente.

All’inizio dell’anno, da Carnaby Street a Londra, Mary Quant e la minigonna coniugano il rapporto ancora oggi inossidabile tra moda, culture giovanili, musica e look («le gonne corte e i capelli lunghi sono la nostra pelle nera»). In giugno, al Greenwich Village di New York, i clienti dello Stonewall Inn si ribellano per tre giorni alle continue retate della polizia, stabilendo la nascita del movimento LGBT e dell’orgoglio gay. A metà agosto, a Woodstock, più di quattrocentomila giovani in quattro giorni di happening, tra Richie Havens e Jimi Hendrix, stabiliscono l’alfabeto che orienta la musica contemporanea, e non solo il Pop, da decenni.

E tuttavia, il 20 luglio era andato in scena il più imponente spettacolo televisivo planetario mai tentato: l’accompagnamento – quasi «in diretta» – da parte delle maggiori industrie Tv del mondo, dello «spettacolo» dell’allunaggio. Il sequestro mediatico della Luna, in nome della potenza tecnologica e militare nordamericana. A tale «Luna» elettronica – quella che ha esaltato la missione Apollo 11 della Nasa – gli artisti di tutto il mondo, e non solo Nam June Paik o il movimento Fluxus, ma anche gli avanguardisti italiani, replicarono con la produzione di molte Lune «elettroniche»: video d’artista, installazioni, quadri, performance, musiche. Lune alternative per la cultura alternativa e per la «controinformazione» nascente. Moon is the oldest TV, la Luna è il televisore più antico, suggerì Paik nel 1969.

E tuttavia, il 9 ottobre 1969, sempre negli Usa, accadde qualcosa di tecnologicamente ancor più decisivo, ma rimasto un progetto militare segretissimo per due decenni ancora. Due giovani ricercatori, Charley Kline e Bill Duvall, riuscirono a mettere in contatto diretto, a distanza, (dall’UCLA allo Stanford) i rispettivi «computer». Nasce ciò che dal 1986 chiamiamo Internet. Dell’unica parola di testo da trasmettere («Login», accesso) arrivarono a fatica al ricevente solo le prime due lettere: «Lo». Un successo parziale, ma comunque un successo. E, misteriosamente, poiché «Lo» in inglese si può tradurre con «Ecco», è come se, in quell’anno, la Rete si fosse annunciata. Fu la prima volta, in ogni caso, in cui due macchine elaboratrici di calcoli «dialogarono», balbettando tra loro, in diretta. Un ulteriore «grande passo per l’umanità»: sempre carico di promesse per la ricerca scientifica, ma sempre ostaggio del potere militare ed economico, come constatiamo chiaramente oggi.

Sempre in quei mesi, in una discussione tra cineasti organizzata dalla rivista del cinema d’avanguardia Film Culture ispirata da Jonas Mekas, si pongono le basi per interpretare in modo molto diverso dal consueto (e dal conosciuto) quello che al film, al suono e alle immagini in movimento iniziava ad accadere: fuoriuscita dalle sale, happening, installazioni, nuovi formati, schermi plurimi, nastro magnetico elettronico, dispositivi mobili e portatili, forme di montaggio cromatico e audiovisivo mai viste, desiderio di una Tv «creativa» e plurale: una nuova concezione del «cinema», delle sue storie, dei suoi pubblici.

Nam June Paik contribuisce con le sue idee a far brevettare lo strumento più rivoluzionario del futuro: il Port-a-Pack, la videocamera per l’elaborazione del video-tape: finalmente portatile, mobile, democratica. Così come Steina e Woody Vasulka realizzano artigianalmente i prototipi di quelli che divengono i Video Synthesizer e i Digital Image Articulator della futura «scrittura», sia cinematografica che televisiva. A fine anno, Gene Youngblood pubblica Expanded Cinema, allarga la definizione di cinema a quelle di arte («Expanded Cinema/Expanded Arts») e nella rivista Radical Software – un nome che è un programma – battezza il neologismo «Videosfera»: la Terra e i suoi abitanti immersi nell’intreccio dei segnali elettromagnetici. Una parola nuova per segnalare una nuova forma di percezione e rappresentazione della natura ancora poco conosciuta: quella «elettronica».

Videoartisti e «videoattivisti», pittori, cineasti, musicisti e poeti: gli artisti scendono in campo. Nei vari linguaggi, e in tutti i Paesi, dichiarando che la Poetica è Politica, che l’arte è «Combat Art»: che il ri-pensamento, anche trasgressivo, delle Forme e delle modalità espressive è parte di un Progetto nuovo, di una inedita e inaudita prefigurazione di mondi e relazioni: anche sociali, di genere, ecologiche. In tal senso, l’Italia si è dimostrata laboratorio di eutopie democratiche, internazionaliste e artistiche, che si scontrerà – per i dieci anni successivi – con la reazione sanguinaria e violenta degli apparati di Stato, delle mafie, dei fascismi. Anche questa è stata la misura del futuro.