Oltre a Clint Eastwood (che – morto Charlton Heston – si tira sempre fuori come l’unico repubblicano, presentabile, a Hollywood), a Mel Gibson, al sottovalutato esempio di 13 Hours, di Michael Bay, ed eccettuata qualche commedia, il contemporaneo mainstream da grande schermo non si occupa coerentemente dell’America bianca, maschile, piccolo borghese, arrabbiata e populista dal cui rigurgito è uscito Donald Trump. Con l’eccezione di Peter Berg, un autore il cui cinema grezzo, macho e non ironico, non piace molto oltreoceano, ma sembra scaturire proprio dallo spirito della Rust belt del terzo millennio.

Dopo il successo, nel 2013, di Lone Survivor, sempre in tandem con Mark Wahlberg – che da rapper e modello di Calvin Klein oggi è una delle poche star blue collar, dotata non a caso di un reality televisivo «di famiglia» – l’attore/regista newyorkese continua dedicare i suoi lavori a eroi/lavoratori taciturni, muscolosi, antiautoritari e tutti d’un pezzo il crepuscolo della cui egemonia era stato meravigliosamente descritto dalla scrittrice femminista Susan Faludi nel suo libro Stiffed, e che oggi sono facilmente riconducibili allo stereotipo del supporter trumpista.

Meno la rabbia, il razzismo e la misoginia: gli uomini di Berg -poliziotti, meccanici, infermieri, operai di pozzo petrolifero – sono infatti così anni cinquanta che esistono nell’America di Deepwater Horizon o di Tamerlan e Dzhokar Tsarnaev, miracolosamente non scalfiti dal potere corrosivo delle Breibart news, delle Wikileaks e dai poteri indottrinati di Fox News. Dopo Deeepwater – Inferno sull’oceano, anche il nuovo film di Peter Berg, Boston – Caccia all’uomo, è infatti tratto dalla cronaca -quella dell’attentato alla maratona di Boston, il 15 aprile 2013.

Filtro della storia è il personaggio (immaginario) di Wahlberg, ruvido detective della omicidi che mal sopporta la burocrazia e che per punizione è mandato a supervisionare la security al traguardo delle gara, poi conduce in parte le indagini e la caccia finale ai fratelli Tzarnaev, con uno scontro notturno a base di bombe e pistole e un interrogatorio (alla moglie di Tamerlan) che celebra lo spirito del Patriots Act.
Berg che è stato produttore anche di un altro sintomo cinematografico dell’America «lasciata indietro», Hell or High Water, è un regista d’azione efficiente, plastico, (fortunatamente) poco incline ai fronzoli e al lirismo nostalgico, quasi schivo, come i suoi protagonisti. Il suo è un cinema facilmente etichettabile come«reazionario», ma che non ha la qualità manipolatrice della propaganda e che, alla luce del presente, è molto più curioso e interessante di quello che sembra. Sottovalutarlo, come si è visto in politica, è facile quanto controproducente.