PROGRESSIVE
Un tessuto
frastagliato

Un Piergiorgio Abba, tastierista e chitarrista, e Bruno Lugaro, voce e autore dei testi sono il «core» dei Nathan, navigata formazione neoprog classica proveniente dal savonese. Attorno a loro si alternano molte belle voci strumentali (ad esempio il grande bassista jazz Dino Cerruti) per un tessuto musicale frastagliato, spesso debitore dei Genesis, altre attraversato da folate più hard. Uomini di sabbia (Ams) fotografa questo momento difficile, tra fragilità e voglia di ricominciare: «Siamo uomini di sabbia, partigiani senza terra». Non nelle forme canoniche, ma nello spirito è «prog» anche il notevole, spiazzante cantautorato avant rock di Marco Masoni in Il vero è nella memoria e nella fantasia (Ams): cita Eco, Panella e Fellini, come un Battiato o un antico Sorrenti cosmico e terragno assieme. Lino Cannavacciuolo col suo violino, le parole di Alessandro Hellman e tanti musici di vaglia illuminano un’opera intensa, per certi versi simile, di cantautorato «progressivo», ma più vicina alla canzone: Aliene sembianze (Edizioni Mariù) di Roberto Michelangelo Giordi, anche scrittore. (Guido Festinese)

NEOCLASSICA
A modo
loro

Il genere neoclassico, come detto più volte, mostra la corda, per evidenti limiti «strutturali». E quindi per ravvivarne lo stile si vanno a inserire sonorità variegate. Ci sono poi artisti di lungo corso che vi si cimentano alla loro maniera. È il caso di Sam Rosenthal che con il suo progetto Black Tape for a Blue Girl calca le scene da qualche decennio. Oggi Rosenthal si ripresenta con un disco, The Cleft Serpent (Projekt Records), in cui unisce l’anima darkwave a sonorità vicine alla neoclassica. Archi e atmosfere cupe e sognanti fanno da sfondo a una voce quasi baritonale. Decisamente più canonico il secondo lavoro dell’inglese James Heather, Invisible Forces (Ahead of Our Time). Undici brani per pianoforte in cui i riferimenti vanno a grandi del passato come Beethoven ma soprattutto Debussy. Un tributo al minimalismo quello della pianista bretone Vanessa Wagner in Study of the Invisible (Infinè Musica). Quindici interpretazioni da artisti contemporanei quali Harold Budd, Philip Glass, Brian & Roger Eno, Nico Muhly, David Lang, Ezio Bosso. (Roberto Peciola)

BLUES
Espressioni
di primavera

Blues di primavera. In evidenza la vocalist inglese Emma Wilson con Wish Her Well (EWM) dove fa valere le sue qualità. Non solo interprete ma anche autrice di buona parte dell’album che con dieci canzoni curate e francamente belle, si fa apprezzare. Dalle sue parti è riconosciuta come una delle artiste esordienti migliori. Seguendo le sue linee vocali che sfiorano il soul ma poi tornano totalmente nel blues, se ne comprendono i motivi. È espressiva e potente, e al contempo raggiunge vertici di dolcezza e delicatezza. Segnaliamo, anche per la freschezza degli arrangiamenti, Mary Lou, Rack ‘em Up e Back on the Road. Ritorno per Lew Jetton & 61 South con Deja Hoodoo (Endless Blues Records) in cui infonde la sua consueta attitudine elettrica che si esprime al meglio con il volume alto: la prova l’abbiamo in Two Lane Road e Tattoo Blues. Chiusura affidata al giovane australiano Alex Kosenko, one-man band che rilascia Movin’ On (Black Market Music), un ep di quattro brani dove appare più incisivo quando esegue passaggi più morbidi come The Start e After You. (Gianluca Diana)

JAZZ ITALIA
Un tasto
romantico

Il filo conduttore è il mondo dello spettacolo, omaggiato idealmente nel caso di The Princess Theatre (Azzurra Music) di Vanessa Tagliabue Yorke, partendo dai musical di Jerome Kern: in realtà si tratta di 9 standard (e 4 original) per voce e piano (Paolo Birro) che ribadiscono la bravura della jazz singer, benché le scelte siano troppo incentrate su ballad e slow, col rischio «monotonia» per l’ascoltatore. Anche il cinema in Parlami di me. Le canzoni di Nino Rota (Egea) di Cristina Zavalloni & ClaraEnsemble insiste sul tasto «romanticismo» a fronte di un compositore ironico e spumeggiante, ma basta la deliziosa versione di Pappa col pomodoro a garanzia di un album notevole e di una vocalist geniale. Ancora cinema in Move. The Trumpet Is a Movie Star (Harmonia Mundi) di Romain Leleu, dove appunto la tromba del leader è quasi protagonista assoluta (pochi i brani cantati) in una efficace antologia di score via via di Rota, Morricone, Legrand, Davis, Berlin, Mancini, in chiave soffusamente mainstream. (Guido Michelone)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

POST PUNK
Groove
effervescente

BODEGA
BROKEN EQUIPMENT (What’s Yr Rupture?)

**** Post punk, con dentro altri sapori effervescenti, tirato e divertente. La formazione di Brooklyn non difetta certo per assenza di groove, che dall’inizio alla fine senza posa sferza chi ascolta. In realtà proprio l’ultima incisione, After Jane, è una ballata acustica che sembra uscita da uno scantinato anni Settanta. Oltre questo episodio sinceramente ben riuscito, per il resto picchiano duro con Thrown e Territorial Call on the Female. Ci piace assai anche Statuette on the Console che ha il sapore di New York inizio anni Duemila. Ma la vera hit è Doers, che volteggia nel mondo Fugazi. (gianluca diana)

ROCK BLUES
La patria
adottiva

HUGO RACE FATALISTS
ONCE UPON A TIME IN ITALY (Santeria)

**** Blues e rock dolente, accarezzato da una voce seducente che di disperazione ha fatto tesoro negli anni di militanza nella primissima formazione dei Bad Seeds con Nick Cave. Australiano, Race ha vissuto in Italia dalla fine degli anni Novanta, collaborando con molti artisti del nostro paese. Questo è il quinto album insieme ai Fatalists ed è dedicato proprio alla sua «patria adottiva», tanto da aver allegato un ep, C’era una volta l’Italia, con i brani nella forma linguistica originale. Blues dai tratti melodici spesso irresistibili. (stefano crippa)

JAZZ ITALIA/2
Ogni tassello
al suo posto

DINO RUBINO
GESUÈ (Tuk Music)

**** Difficile parlare di un disco pressoché perfetto. Si rischia la ridondanza, la ripetizione di luoghi comuni. Accontentiamoci di dire, allora, che il pianista (e trombettista) Dino Rubino ha dato sfogo qui a una vena lirica struggente e memorabile, strutturando un disco – senza batteria – che respira gli echi melodici di Piazzolla, di Bacalov, di Rava, di Nino Rota. Non c’è un tassello fuori posto, è poesia pura. Piero Delle Monache, Daniele Di Bonaventura e Marco Bardoscia lavorano con un interplay reale, e aggiungono poesia alla poesia. (guido festinese)

HOUSE MUSIC
La vitalità
del supergruppo

SWEDISH HOUSE MAFIA
PARADISE AGAIN (Island/Universal)

*** Il supergruppo svedese composto da Steve Angello, Sebastian Ingrosso e Axwell, attivo dal 2008, aveva pubblicato finora solo singoli. Paradise Again – diciassette tracce – è il loro primo album a testimonianza della vitalità di un genere che, mescolando dance e elettronica, rock e ambient, raccoglie ovunque proseliti. Non a caso, i featuring di popstar sono quanto di più distanti si possano immaginare: da Ty Dolla $ign e 070 Shake (Lifetime), passando per Mapei, Sting (Redlight, rilettura dance di Roxanne dei Police) e The Weeknd (Moth to a flame). (stefano crippa)

ALT ROCK
Schegge
di follia

JACK WHITE
FEAR OF THE DAWN (Third Man/Audioglobe)

***** Comunicazione di servizio: questo è il primo dei due dischi annunciati da White per il 2022. Espletata l’incombenza eccoci a parlare dell’album in questione. Una bomba! E lo si capisce dalle prime note dell’apertura Taking Me Back. Caos è invece il secondo termine che ci viene in mente. Sì perché è come se l’artista avesse scelto di creare non creando, ma lasciarsi andare a semplici sensazioni. Garage tirato, blues destrutturato, un po’ di hip hop, di funk, di dub, di baudeville. E distorsioni e effetti quasi inauditi, piccole schegge di follia, per un disco che, confermiamo, è una bomba! (roberto peciola)

BREW 4ET
DROPS (Losen Records)
**** Cinque anni di suono assieme si sentono tutti e bene, se hanno cementato interplay, scrittura adatta a tutte le forze impiegate, e possibilità, anche, di navigare a vista in momenti di improvvisazione belli e rischiosi. Il Brew 4et approda al disco per la norvegese Losen Records, e speriamo che molti tendano le orecchie. Perché questo quartetto con ritmica acustica, sax e vibrafono ha un’eleganza già compiuta, e mostra di aver metabolizzato con saggezza gran parte delle piste del jazz moderno e contemporaneo. (guido festinese)

DRUMBHA
DRUMBHA (Auand)
*** Drumbha è il nome dell’album, della band, della title-track: progetto di Giacinto Maiorca (batteria, percussioni, basso, electronics) e Oscar De Caro (tuba, euphonium, trombone) i quali, circondati a turno da altri diciotto musicisti, danno vita a sound di ardua collocazione, dove convergono svariati fonti sonore, miscelate con energia, originalità, lungimiranza, per un risultato finale che guarda al jazz, al funk, all’ambient, al post rock, alla world music. (guido michelone)

GONORA SOUNDS
HARD TIMES NEVER KILL (Dust to Digital)
**** Una bella storia che mette di umore buono. Qualche anno fa i Leadbetter, titolari della label, condivisero un video di questa formazione dello Zimbabwe. Daniel Gonora e suo figlio, assieme al resto della band, vedono ora il loro disco pubblicato dalla label statunitense. Sungura music di qualità eccelsa, ritmica, giocosa e buona per danzare. Undici brani che danno la misura di come suona spavaldo e divertente lo stile del leader. Si impongono Madhiri, Wapinda Mazviri e Go Bhora. (gianluca diana)

HUMANOIRA
OBIETTIVO SALVEZZA (Infecta Suoni & Affini)
**** Ricominciano da due. Con assetto a geometria variabile e estensibile, purché siano amici musicisti sulla stessa lunghezza d’onda. I livornesi Riccardo Vivaldi e Davide Varriale (voci, corde, laptop) alla prova del fuoco con un nuovo disco, undici brani di un pop rock cantautorale agrodolce, zeppo di hook melodici, suonato bene e scritto meglio, con testi che sferzano il grande nulla dentro e fuori di noi. Ospiti da scoprire, brani apparentemente «leggeri» che sferzano e ulcerano. (guido festinese)

JARV IS…
THIS IS GOING TO HURT (Rough Trade/Self)
*** Jarvis Cocker e la sua nuova creatura hanno «omaggiato» il servizio sanitario inglese, il NHS, componendo la colonna sonora di una serie tv britannica ambientata proprio in un ambiente ospedaliero. In 36 minuti l’album si divide tra brani puri e semplici – ballad, brit pop, indie rock, glam – e momenti strumentali atti ad accompagnare i momenti più intimi e drammatici della fiction. Un lavoro di classe. (roberto peciola)

GAETANO LIGUORI
COLLECTIVE ORCHESTRA (Bull Records, distr. Propria)
**** Il 3 e 4 febbraio 1976 a Milano il pianista allora 26enne riunisce una big band di altri 11 giovani talenti per suonare free: due lunghe improvvisazioni appunto collettive, dove il leader dà alcune semplici indicazioni su impasti timbrici e momenti obbligati, in cui i musicisti coinvolti hanno piena libertà artistica. Il furore performativo è altresì indirizzato a un chiaro messaggio politico: Collective Suite e Nuova resistenza sono lunghi brani che mantengono intatta una sincera urgenza espressiva e protestataria. (guido michelone)