In Italia il futuro del cinema nonostante la «fase 2» e l’accelerazione verso «la ripresa» rimane nebuloso. Non è il solo settore culturale che vive nell’incertezza, ovviamente, ci sono il teatro, la musica dal vivo confinati in un limbo ancora maggiore, ma il cinema è l’unico a esprimere con maggiore evidenza uno statuto «ambivalente»; se da una parte le sale cinematografiche sono chiuse, rimpiazzate per ora (?) da piattaforme create per l’occasione, i festival sospesi, i set fermi (qui però la ripartenza sembra più vicina), i film pronti la cui uscita in sala è stata bloccata dal virus, trovano circolazione sulle piattaforme e dunque esistono per il pubblico. C’è molto da lavorare, ci sarà (speriamo) molto da regolamentare anche perché questa situazione – e i nuovi assetti che sta costruendo in modo non temporaneo – colpisce il settore cinematografico di tutto il mondo con conseguenze analoghe. In Francia, spesso presa a modello quando si affronta criticamente la nostra situazione, le sale hanno chiuso il 14 marzo. Il Festival di Cannes, evento chiave per l’industria nazionale, è stato annullato e su tutto il settore culturale, nonostante il peso economico, domina incertezza: quando si riaprirà? E come?

FINO a metà luglio il divieto di raggruppamenti di oltre cento persone non permette alcun progetto, e se diverse categorie dello spettacolo rientrano nel piano dei sostegni governativi, molti altri invece è come se non esistessero: fragili, poco identificati, si sono trovati azzerati da un giorno all’altro. Tra questi nella macchina cinema ci sono gli uffici stampa indipendenti, che pur essendo previsti nel budget di promozione assegnato dal Cnc a ogni film non hanno alcuna garanzia. Però in questi mesi di stop, senza uscite né festival, le spese, l’affitto degli uffici continuano a pagarli. Così passato il primo stordimento hanno deciso di reagire, e si sono costituiti in un’associazione: Clap (Cercle libre des attaché (e) )s de presse de cinéma), i cui obiettivi sono appunto ottenere un riconoscimento formale di categoria da parte del Cnc, che gli permetta di accedere a degli aiuti, e in prospettiva ripensare le modalità della professione a fronte dei cambiamenti che la pandemia determinerà nella filiera.

Ne parliamo con Viviana Adriani, tra le ideatrici dell’associazione insieme a Laurence Granec, che ne è il presidente, e a Chloe Lorenzi. Italiana che vive da molti anni a Parigi, Viviana è una di quelle figure preziose per il cinema d’autore indipendente – tra i registi che ha accompagnato ci sono Philippe Garrel, Pedro Costa, Naomi Kawase, Celine Sciamma Pietro Marcello, Robin Campillo, Wang Bing, Gianfranco Rosi… – con la capacità di costruire incontri e occasioni sempre attenti alla sensibilità e al respiro di ognuno dei suoi film. Perché l’ufficio stampa non è solo colei o colui che ci dà l’appuntamento o ci dice che il tempo è scaduto ma è soprattutto qualcuno che crea una relazione.

Racconta Viviana: «Quando tutto si è fermato ci siamo trovati all’improvviso in una situazione drammatica di non-attività: sale chiuse, festival cancellati compreso ora quello di Cannes, il settore si è fermato da un giorno all’altro, e i nostri contratti sono stati sospesi o rimandati senza garanzie. Il virus ha reso evidente la precarietà che già caratterizzava la nostra professione a cominciare dal fatto di non essere riconosciuta dal Cnc».

 Poi cosa è successo? Come siete arrivati alla decisione di fondare Clap?
Abbiamo iniziato a discutere tra alcuni di noi, io, Laurence Granec, Chloe Lorenzi, pensando a una lettera da inviare al Cnc per chiedere un incontro. Abbiamo contattato gli altri uffici stampa indipendenti in attività, circa una cinquantina, che hanno aderito tutti. Ci siamo posti un doppio obiettivo: nell’immediato sollecitare un fondo, e sul futuro rivedere le regole del nostro lavoro in vista delle trasformazioni del settore. La crisi ha accelerato le uscite in Vod, ci sono sostegni per ora non definiti, il primo problema però era per noi il fondo, come indipendenti non rientravamo in nessuna categoria, neppure tra le imprese perché i nostri fatturati non hanno un andamento regolare. Può accadere che qualcuno mi paghi un lavoro fatto mesi fa adesso, il che mi esclude automaticamente dal sussidio dei 1500 euro per chi ha perso il 60% del suo introito. E i danni nel nostro caso avranno ripercussioni sui mesi a venire, ci sono contratti che abbiamo perso di cui non ci verrà data neppure una percentuale. Intanto però abbiamo dei costo sociali, continuiamo a pagare i contributi che in Francia sono molto alti.

E quale è stata la risposta del Cnc?
Non c’è stata. Allora abbiamo mandato una seconda lettera, stavolta ci hanno risposto senza però entrare nel merito delle nostre richieste. Dicevano di rendersi conto dei problemi rinviandoci al piano di aiuti del governo che per noi, come avevamo spiegato, era inaccessibile. Soprattutto non veniva considerata la nostra rivendicazione principale, quella di essere riconosciuti come professione nella filiera cinematografica.

Quindi voi in che modo siete andati avanti?
Ci siamo mossi con la stampa, giornali, tv, radio hanno parlato delle nostre richieste. A quel punto il Cnc ci ha contattati di nuovo, a breve dovremmo avere un appuntamento. Abbiamo anche chiesto di partecipare agli incontri sulle nuove forme di distribuzione, pensiamo che la nostra esperienza possa essere di aiuto.

Quando parli di futuro del tuo lavoro intendi il digitale?
Non solo. Penso alle pratiche contrattuali che dovrebbero avere delle regole specie in una fase complicata come sarà quella a venire. Quanto al digitale per molti è un orizzonte nuovo, io che pure un po’ ci lavoro, sono molto spaventata. Spostare tutto in quella dimensione mi fa perdere il senso della mia professione, cosa significa difendere in film, accompagnarlo, sostenerlo quando è fragile.