Dicono i buontemponi di twitter che l’ultima volta al Circo Massimo i Rolling Stones ci hanno suonato all’inaugurazione. Non andavano tanto lontano dal vero. Negli anni ’60 Mick Jagger e Keith Richards ricalcavano i dischi di bluesman di Chicago quasi sessantenni che pochissimi conoscevano, come Muddy Waters o Willie Dixon. Vecchissimi per l’epoca e del tutto leggendari per i ragazzi bianchi europei hipster che erano. Da allora la loro musica – e così gran parte del rock angloamericano classico – rivela ogni volta la stessa presenza assente. Proprio come la valle del Circo Massimo fatta scavare da Mussolini negli anni ’30 – polvere, erba, pietre che rotolano, nessuna biga di Ben Hur. In questa doppia vertigine c’è già un bel po’ del concerto di domenica sera.

Ma sono almeno trent’anni che si va a vedere se i Rolling Stones ce la fanno ancora. Si direbbe che Charlie Watts rallenti un po’ nel finale, e con lui Keith Richard e Ron Wood. Ma ce la fanno, sì. All’inizio sui maxischermi fanno passare le loro vecchie foto in bianco e nero, quando suonano Jumpin Jack Flash e Let’s spend the night together in arrangiamenti che diresti vicini agli originali, e l’idea è nostalgica, umana, persino carina. Niente di più lontano dal «carino» di Mick Jagger, sinuoso come una ballerina di strip tease in speed a Soho nel 1965. A settant’anni, come già raccontavano certe mitologie di anziani teatranti poi morti in scena.

Applausi. Renato Nicolini si commuoveva sempre a vedere il Circo Massimo pieno di folla, e come dargli torto? «Qui abbiamo visto Ben Hur, il Parsifal di Syberberg, Guerre Stellari di George Lucas» scriveva una decina d’anni fa ricordando le sue Estati Romane Lo paragonava alla romantica città di Brigadoon, che in un film di Vincente Minnelli ricompare a un giorno solo ogni cento anni. Ma non ditelo ai tifosi della Roma, però. E neppure a quelli che hanno festeggiato lì la Nazionale campione del mondo, perché vorrebbero aspettare molto meno di un secolo per tornarci vincitori.

«L’Italia batterà l’Uruguay 2-1», ha profetizzato Mick Jagger l’altra sera, nello stesso posto, probabilmente ignaro dell’Estate Romana, ma soprattutto della sacralità calcistica dell’impronta del vecchio Circo nel cuore della città storica. Ahi. Un 2-1 contro l’Uruguay l’aveva augurato all’Inghilterra giorni fa coi risultati che sappiamo. E trovandosi a Lisbona in maggio, all’Inghilterra aveva annunciato una finale mondiale contro il Portogallo. Aveva fatto molto meglio all’ultimo mondiale sudafricano tifando anche Usa e Brasile una volta tornata a casa la sua nazionale: alla fine quando compariva in tribuna c’era chi vedeva il Diavolo in persona.

Simpatia per il Diavolo. Please let me introduce myself, I’m a man of wealth and taste. E il pubblico in coro: uh uh. La canzone eseguita dal cantante avvolto dalle piume di struzzo rosse e un mantello nero è stata il momento più felliniano del concerto. Nel 1968 Sympathy for the devil l’aveva girata Jean Luc Godard, durante una session di studio piena di rimandi e sottotesti rivoluzionari. Oggi è teatro kabuki per colonie spaziali, opera estiva di Caracalla, eco stilizzata di un passato lontanissimo e mitologico almeno quando il Circo Massimo. Come tutto il resto, e non c’è davvero nulla di male. Ma hai voglia a fotografare, filmare, postare, con ipad e telefonini. Il Diavolo degli horror non si fa riprendere: riguardi, e non rivedi nulla.

Certamente opera del Diavolo, quindi, anche la clamorosa contabilità del concerto-evento, svelata in barba a qualsiasi renziana gestione del «patrimonio archeologico come giacimento culturale», ma anche – a dire il vero – a scapito di buona parte della solennità rock dell’evento. Neppure 8000 euro è costato l’affitto dell’area, ci hanno ripetuto fino alla noia con sussiego grillino. Il sindaco di Roma Marino si è difeso spiegando che quelle al momento sono le tariffe, e che lui i Rolling Stones li aveva visti quindici anni fa a Pittsburgh.

Beppe Grillo stava in tribuna Vip. La sola cifra certa resta quella dei 6 milioni di incasso: l’aura del Circo Massimo ha fatto lievitare i biglietti a quasi 90 euro, escluso il bagarinaggio. Va aggiunto a margine che Renzi, per due ore di Ponte Vecchio affittato alla Ferrari l’anno scorso aveva chiesto 120.000 euro. Apriti cielo però «un fracco di soldi». Ci è toccato pure apprendere che per suonare a Hyde Park – il parco teatro nel 1969 di uno dei concerti più celebri dei Rolling Stones, quello con le colombe bianche dopo la morte di Brian Jones – oggi ci vogliono 300.000 euro.

Altri tempi, i nostri. In tempi remotissimi – lo dicono le affascinanti biografie del gruppo inglese – Keith Richards soggiornò a Roma tra il maggio e luglio 1968 a Villa Medici, ospite a scrocco di Stanislav «Stash» Balthus: figlio del pittore, fidanzato di Romina Power, perdigiorno, musicista e dandy internazionale. Si narra di un acido collettivo nei giardini dell’accademia francese con la fidanzata Anita Pallemberg, con Mick Jagger e Marianne Faithful. Ma ci sarebbe pure una cena lasciata in conto a Pasolini, a dar retta a certi aneddoti. E il week end? Tutti a Positano in Bentley, a casa di Mario Schifano con gran vista mare. Sul tavolo della cucina Jagger e Richard ci scrissero Midnight Rambler (in scaletta nel concerto di domenica con l’assolo di Mick Taylor). Secondo la Pallemberg pure Honky Tonk Women venne scritta a Positano. In scaletta pure lei. Vedi come è misterioso a volte lo scorrere del tempo?