Continua l’offensiva del governo Merkel contro gli Stati del Golfo che finanziano sotto traccia le moschee tedesche. Dopo il progetto di tassa per i luoghi di culto islamici, ora la Germania chiede ad Arabia Saudita, Qatar e Kuwait di rendere conto di ogni singolo euro inviato alle associazioni che gestiscono i centri di preghiera nella Repubblica federale. Obiettivo dichiarato di Berlino: scoraggiare il radicalismo locale ingrassato dal fiume di denaro “elargito” dalle monarchie sunnite.

Finora solo il Kuwait ha iniziato a collaborare. Per questo motivo l’ordine ufficiale impartito ai tre servizi di intelligence federali è di setacciare la rete di finanziamenti che conduce soprattutto a Riyadh. Tra le richieste della Germania spunta anche la clausola di avvertire il suo ministero dell’interno ogni qualvolta un’associazione chiede soldi ai sauditi.

Dall’Arabia e dal Qatar, per adesso, rimbalzano risposte più che inconcludenti. Ma la pressione del governo Merkel è destinata ad aumentare nei prossimi mesi, anche alla luce dell’ultimo rapporto del Gtaz, il centro congiunto antiterrorismo tedesco che dal 2015 spia l’universo salafista, i cui stralci sono di pubblico dominio su Süddeutsche Zeitung e Deutsche Welle.

Sotto sorveglianza, fin dalla scorsa primavera, «le attività missionarie salafiste riconducibili agli Stati arabi del Golfo», insieme alle molteplici vie di transito dei finanziamenti soprattutto da parte dei sauditi. Emerge la certezza che «le iniziative di natura caritatevole sono sempre più connesse con la rete salafista in Germania ed Europa». Si aggiunge al problema che nessuno a Berlino è in grado di quantificare a quanto ammontano le somme già trasferite da Arabia Saudita, Qatar e Kuwait alla galassia radicale incistata nel paese.

L’attacco alla catena di finanziamenti «stranieri» era stato anticipato dal ministro dell’Interno Horst Seehofer alla Conferenza islamica tedesca tenuta alla fine di novembre. Garantendo l’impegno congiunto della Grande coalizione nella riduzione dell’influenza estera sulle moschee tedesche. Nella medesima occasione l’ex leader Csu aveva sottolineato che «i musulmani fanno parte della Germania», non per giravolta politica ma per dimostrare a Riyadh (e anche Ankara) che l’Islam locale d’ora in poi sarà un affare solo tedesco.

Coincide con la ragione politica alla base del nuovo progetto di tassa sulle moschee sul modello dell’imposta che già grava su chi dichiara cattolico o protestante. Un passo avanti verso l’emancipazione dei 4,5 milioni di musulmani della Bundesrepublik, pur nel rischio che alla fine l’islam locale passi dal controllo di uno Stato a un altro. Nell’attesa, e a proposito di terrorismo, a Berlino si fa comunque sempre finta di non sapere che le bombe saudite «prodotte all’estero» che fanno strage di civili in Yemen sono anche made in Germany.