The Banshees of Inisherin, Gli spiriti dell’isola,il molto acclamato film di Martin McDonagh (Tre manifesti a Ebbing, Missouri, 2017), che è ripartito dal Lido con la Coppa Volpi al suo protagonista, Colin Farrell, l’Osella alla sceneggiatura, dello stesso McDonagh, ha vinto tre Golden Globes e ha nove nomination ai prossimi Oscar, tra cui regia, film, attore e attrice, è stato presentato come una riflessione, pure se molto allusiva, alla guerra civile in Irlanda. L’epoca in cui si ambienta è il 1923, quando appunto l’Irlanda è devastata dal conflitto civile, l’immaginaria isoletta è un luogo inventato ma nel suo paesaggio luminoso di mare e di vento risuona l’eco delle armi lontane.
A restituire il conflitto, o meglio la sua assurdità di senso, non sono soldati e armi ma l’amicizia interrotta bruscamente, e in apparenza senza motivo, tra Pádraic (Colin Farrell) e Colm (Brendan Gleeson). I due si vedono ogni giorno alle 2 al piccolo pub locale, ma Colm ora non vuole più nemmeno parlare a Pádraic, è noioso, ripete sempre le stesse cose, i suoi inutili discorsi gli fanno perdere di vista il suo vero obiettivo: la musica, il violino, i ritmi della tradizione di cui ricerca la profondità insieme a un gruppo di giovani musicisti arrivati da poco. L’amico non si dà pace: come è possibile?
Intorno anche la piccola comunità non si capacita: «Avete litigato?» è la domanda che rimbalza di bocca in bocca di fronte la palese ostilità di Colm. Pádraic si lamenta a casa con la sorella (Kerry Condon), l’unica da quelle parti dotata di una visione delle cose -e con la sua amata asinella Jenny che è per lui un po’ il corrispettivo delborder collie per Colm.
Siccome non capisce attacca, è molesto, passa dalla lagna all’aggressività: un classico verrebbe da dire – e la guerra non c’entra, perché può accadere a tutti di allontanarsi all’improvviso nelle amicizie mica solo negli amori, e senza una motivazione netta, o quel famoso tradimento che ogni cosa spiega. Succede, poi forse dietro c’è dell’altro, invece con le guerre è un po’ diverso, non iniziano per ostinazione o per noia, ci sono sempre motivi che riguardano la geografia, l’economia, i poteri, le strategie e quant’altro. Dunque?

IL MOVIMENTO del film si iscrive in questa specularità conflittuale tra i due uomini, tra le loro case, negli interni del personaggio di Farrell, condivisi con la sorella, e in quelli più solitari di quello di Gleeson. E nello spazio comune del pub divenuto però non più di unione e incontro ma di conflitto: confini, tavoli, imbarazzi, una tensione che può sfociare in violenza e che porta Gleeson a una promessa estrema.
Il registro di McDonagh è la commedia nera – con tanto di dita mozzate – costruita su un umorismo che segue il filo della testardaggine dei protagonisti (di Farrell in particolare) del tutto immotivata. Da qui però non avanza se non alzando la posta di quel gioco narcisistico, impacchettato dalla scrittura, tra due maschietti ciascuno noioso e poco empatico a suo modo, troppo concentrati su se stessi per vedere il mondo.

GLI ANIMALI sono testimoni e vittime, e l’orizzonte si schiude solo nel movimento delle donne, anzi di una donna, la sorella che difatti se ne va. Pure questo un passaggio fin troppo prevedibile in una scrittura che non lascia spazio allo spettatore conducendolo per mano lungo le sue geometrie lineari. Rimangono i luoghi, bellissimi, di cui sembra di sentire il profumo, che vivono sfuggendo loro malgrado allo schema preordinato. Chissà se è questa «linearità» a avergli garantito tanto successo, di certo il pubblico si sente accontentato: tutto è risolto anche se niente trova soluzione ma i dubbi vengono comunque sciolti e così le inquietudini come oggi sembra essere necessario.