Dopo le voci, l’annuncio. Fatto più o meno una settimana fa, sui social, come impone l’ultima (ma già vecchia) strategia di marketing. Ma fatto soprattutto come se si trattasse di un’impresa normale. Una delle tante.

 

Si legge nel tweet: “Siamo orgogliosi di poter aiutare l’Europa”. Di aiutare l’Europa a preservare i dati dei suoi cittadini, di darle una mano a controllarli. Firmato: Palantir. 

Un nome – arrivato alle cronache qualche anno fa, quando Snowden denunciò che era uno degli strumenti della Cia per spiare il mondo – che ha spaventato tanti, tantissimi.

Da Marietje Schaake, direttrice del Cyber Peace Insititute dell’Eff, una delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti digitali. Passando per molti, molti altri. Fino ad arrivare a un’interrogazione all’europarlamento di Strasburgo di Cornelia Ernst, deputata della Die Linke tedesca – interrogazione numero E-000173/2020 – che imporrebbe una risposta scritta da parte della commissione. Risposta mai arrivata. 

Tante iniziative perché Palantir davvero è un nome che fa paura. O, almeno, dovrebbe far paura (anche in Italia qualcuno se n’è occupato ma si parla di una stretta cerchia). Perché quelle poche righe del tweet, infatti, annunciavano l’ingresso di Palantir in “Gaia X”. Che appunto dovrebbe occuparsi della riservatezza dei dati europei. 

Cos’è Gaia X? Nome femminile per un progetto “ambizioso”: così almeno lo definirono Macron e il ministero dell’economia tedesco, i promotori.

Tutto è ancora un po’ vago – checché ne dicano i soliti entusiasti sostenitori – ma Gaia X dovrebbe avere al suo centro l’idea che il vecchio continente possa sottrarsi dalla dipendenza dalla Silicon Valley per tutto ciò che riguarda l’economia digitale.

Quindi si pensa a misure per l’interazione di servizi, si pensa al know-how, si pensa a una strategia generale anche se l’elemento più rilevante del progetto, s’è detto, è la gestione dei dati. Quelli pubblici, quelli personali, quelli delle imprese. Che non dovrebbero più essere affidati ai cloud dei colossi statunitensi, che potrebbero farci quel che vogliono, visto che sono soggetti a leggi meno rigide ma dovrebbero “risiedere” virtualmente in Europa.

Dove dovrebbero essere più controllabili. Ed è più o meno anche quello che la presidente della Commissione, Von der Leyen, all’inizio di dicembre, ha definito come l’obiettivo strategico della sua politica nel settore: “Il sovranismo digitale europeo”. Meritandosi molto applausi. 

Gaia X nel corso di questi mesi, nell’ultimo anno, così come volevano i promotori, è cresciuta, è diventata un vero progetto europeo, con l’adesione di governi – quasi estasiata l’adesione della ministra Paola Pisano – che a loro volta hanno deciso di aprirsi alle imprese private. Le italiane del settore, quelle che contano, ci sono tutte, compresa la Confindustria.

E ancora: dopo confronti e discussioni, Gaia X è diventata accessibile anche ai colossi internazionali, da Microsoft a Oracle, passando per Huawei. Che però – almeno così è detto – non potranno stare “nella cabina di regia” (definizione probabilmente esportata dall’Italia) ma solo offrire un aiuto di conoscenze e competenze. 

Insomma, col passare delle settimane il cloud computing europeo “per la difesa dei nostri dati” da progetto politico s’è trasformato in operazione economica, nella quale ogni gruppo e paese vorrà avere un suo beneficio, come già denunciavano le prime voci di dissenso. 

Poi però è stata superata la “soglia di tollerabilità”. Con l’annuncio dell’arrivo ufficiale di Palantir. Qualcuno – e parliamo dell’ufficio studi a Bruxelles del Democrats 66, partito di destra moderata olandese – lo  definisce un “gruppo controverso, dal quale l’Europa farebbe bene a tenersi alla larga”. 

Palantir però è molto di più. E’ un nome che molti dovrebbero ricordare visto che è esattamente il gruppo che ha fornito gran parte degli strumenti alla Cia per “spiare” il mondo, come denunciò Edward Snowden.

Ma anche quella è stata solo la ciliegina su una brutta torta. 

Fondata subito dopo l’attentato alle Torri Gemelle da Peter Thiel e da due suoi amici, Alex Karpe e Stephen Cohen, da subito Palantir ha cominciato a collaborare con l’Ice, l’agenzia americana che dà la caccia ai migranti. Col suo software Gotham – sì, si chiama proprio così, col nome della città distopica dove “lavora” Batman – ha permesso alla polizia di rintracciare migliaia di famiglie sudamericane, di separarle e di rispedirle indietro.

Ancora: la prima sovvenzione al gruppo è arrivata dalla IN.Q-Tel, sigla misteriosa ma che non è altro che la venture capital ufficiale della Cia. 

Anche grazie a questi soldi ha progettato e immesso sul mercato un altro prodotto, un altro software, il Foundry, destinato ai privati e alle istituzioni extra-statunitensi.

L’hanno comprato in tanti, dal Credit Suisse alla BP. Perché Palantir probabilmente ha un gigantesco data base di profili personali che fa gola a tanti.

Un monitoraggio capillare che – come ha rivelato un’inchiesta di Buzzfeed – è stato recentissimamente utilizzato dalla polizia di Los Angeles, per identificare chi ha partecipato alle rivolte di Black Lives Matter. 

Quanto grande sia quel data base nessuno lo sa dire. La sua attività è stata sempre coperta da segreto. Come ha ammesso la stessa Palantir nel suo blog, aperto – non proprio casualmente – qualche tempo prima dell’annuncio dell’ingresso in Gaia X.

“E’ vero – scrivono – spesso abbiamo dovuto tacere sul nostro lavoro ma non potevamo fare altrimenti, visto l’impegno che avevamo preso con le istituzioni della difesa e dell’intelligence”.

Ora però – assicurano – cambieranno stile. 

Prima ancora di questa affermazione, qualcuno – l’Inghilterra di Boris Johnson – gli ha creduto e ha accettato la collaborazione di Palantir nella gestione dei dati sanitari durante la prima fase della pandemia.

Altri, come l’Austria, su pressione dell’opinone pubblica hanno rifiutato l’offerta.

Comunque sia, Peter Thiel parteciperà alla creazione del “sovranismo digitale europeo”. Lui, ultrà di Trump fin dalla prima ora, che, intervistato quattro anni fa, spiegava così la missione sua e della sua impresa:

“Sapete perché non collaboreremo mai col partito comunista cinese? Perché il nostro obiettivo è far crescere l’Occidente, rendere l’America la più forte del mondo, più forte di quanto lo sia mai stata”.

Stando così le cose, insomma, è facile prevedere un conflitto fra “sovranismi digitali” dentro Gaia X. 

Rivelando che forse la querelle sta proprio in quel sostantivo: sovranismo. Al punto da chiedersi se il problema sia davvero dove ha sede chi raccoglie i nostri dati, dove “dimora” il gruppo o l’entità di chi profila tutta intere le nostre vite. Tema – va aggiunto – che comunque sembra appassionare anche una parte della sinistra nostrana. 

Dall’altra parte dell’Oceano, invece – come tanto spesso accade – arriva una risposta diversa: sul’onda di BLM è nata Data for Black Lives e ha lanciato la campagna Abolish Big Data.

Perché – dicono – la raccolta di informazioni in mano comunque a grandi gruppi o ad istituzioni “determina forme di controllo sociale e politico”, che altro non sono che “il proseguimento del dominio del capitale, che passa dal dominio dei beni mobili ai beni immobili”.

E allora? E allora ecco i piccoli Hub, i nodi di smistamento dati della rete, decentrati. Controllati dalle comunità locali.

Un’utopia? La stanno già sperimentando nei quartieri neri di Washington, dove si formano “quadri” che utilizzano i dati per capire le reali esigenze del quartiere.

Altri hub sono in allestimento in altre città statunitensi. Lì ci sarà il controllo sociale delle comunità. Non affidato alle Over The Top né a istituzioni lontane. Controllo sociale nel territorio, cosa assai diversa dal sovranismo. Comunque declinato.